Le parole hanno un peso, un rumore e un ricordo. A volte, si parla troppo velocemente, per essere addossati alla filosofia di internet dove tutto corre e si sfrutta in un attimo. A volte, invece, si rischia di non trovare le parole adatte e, proprio in quel momento, si scivola nell’ovvio e nella dissacrazione della parola e del concetto. E’ successo a Tavecchio, oggi incoronato Presidente del calcio italiano ed è successo ad Angelino Alfano uno che, a dire il vero e a differenza di Tavecchio con le parole ci sa fare, le sa ammaestrare da buon politico abbastanza navigato. E allora? Credo che, molto naturalmente il primo è scivolato nella classica buccia di “banana”, infagottato nella vecchia retorica brianzola e democristiana degli anni cinquanta (d’altronde il giovane Tavecchio ha solo 72 anni) mentre il secondo ha deciso di chiamare delle persone “vu cumprà” non per errore, ma per scelta etica e politica. Chiaramente la “sua” etica: quella lombrosiana e assolutamente superata ma che, a quanto pare funziona benissimo. Alfano ha definito “vu cumprà” i ragazzi che vendono frattaglie di una moda impazzita perché voleva definirli proprio in quel modo e ha confermato questo addirittura “scrivendolo” in un tweet e quindi quella parola ha un peso, un rumore e un ricordo. Il peso di chi non ha capito che non siamo noi a decidere dove dobbiamo nascere e dove possiamo sopravvivere, il rumore di chi non ha compreso quanto è irritante chiamare gli uomini con un modo di dire: “spaghetti”, “sequestratori” “camorristi” “polentoni”.
Il ricordo di chi non riesce a spiegare che la colpa non è di chi vende le cianfrusaglie, ma di chi le produce e, guarda caso il problema diventa senza dubbio un altro. Vecchia storia tutta da verificare. Mi aspettavo da un Ministro un intervento serio, una campagna contro la delocalizzazione che genera disoccupazione e quindi sconcerto e dunque focolai di insoddisfazione e violenza. I poveri ragazzi che girano vestiti tra gli ombrelloni e i bagnanti incremati generano forse qualche fastidio, perché magari siamo costretti a dire “no grazie” a persone che cercano il modo per ritagliarsi un briciolo di dignità. Ecco, le parole sono importanti e anche i gesti. A volte dare qualche spicciolo a chi te lo chiede con un sorriso triste e aggiungere “buona fortuna” non sarebbe male. Poi, sulla contraffazione dovremmo ritornarci e su chi, davvero, muove quel gran business. Ma questo è un altro discorso e servono altre parole.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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