Indubbiamente il nostro è un periodo di transizione, anche se le fatiche a cui siamo sottoposti, tipiche dei processi di riorganizzazione propri di questi periodi, non ci permettono di esserne pienamente consapevoli. In questo panorama generale, il mondo dell’informazione spicca su ogni altro processo trasformativo, a causa dell’apertura del suo vaso di Pandora: Internet. Un’informazione corretta riduce il grado di caos, il suo contrario lo aumenta. Tra siti bufalari, fan club di terrapiattisti, complottisti e guaritori sciamanici, tutto il male del disordine informativo e la conseguente Babele comunicativa, si sono riversati sul mondo virtuale, al punto che, in quello reale, è diventato difficile distinguere il vero dal falso. Ma Esiodo si preoccupò di lasciare in fondo al vaso la speranza (Elpis), per ricordarci che in qualche angolo dello spirito umano, risiede quella capacità di reagire al male trasformandolo in bene; una scintilla creatrice che pone l’umano come termine di congiunzione tra il mondo divino e quello terreno. È in questo orizzonte carico di distorsioni (e di potenzialità) che la figura di Alberto Angela emerge come prodotto del suo tempo, o meglio, dei suoi tempi, del prima e del dopo, della rassicurazione e del dubbio, del padre e dell’autonomia. In un paese svilito dal nepotismo, Alberto è una delle tante eccezioni che non fa notizia. Raccoglie l’eredità del padre per merito, studia, si laurea, fa ricerche, porta a termine corsi di specializzazione negli Stati Uniti, viaggia, fatica, e, infine, raccoglie. Difficile immaginare oggi in TV qualcun altro al suo posto in grado di ottenere lo stesso successo. Il padre poteva contare sulla allora rassicurante immagine della RAI, oggi che questa non rassicura più nessuno, ad Alberto, rimasto senza garanti degni, spetta l’eroismo mitico di essere l’artefice della propria credibilità, e quindi del proprio destino. Non basta informare, bisogna saper comunicare l’informazione. Comunicare e informare sono due cose differenti. Il primo assioma della comunicazione, elaborato dalla scuola di Palo Alto, afferma che è impossibile non comunicare, qualsiasi cosa facciamo o decidiamo di non fare, stiamo comunicando. Mentre, attingendo da Bateson, l’informazione è tale perché è l’acquisizione di una differenza che fa la differenza nel rapporto con l’oggetto del conoscere. Alberto diventa maestro nel comunicare se stesso come garante della validità dell’informazione che egli stesso veicola. Riesce a porsi in mezzo al palcoscenico assumendo una gradevole postura da teatrante, il suo gesticolare ordinato e il suo sorriso sempre accennato, trascinano lo spettatore nella sua narrazione, e lui si garantisce così l’apertura dell’unico canale possibile per mettere in contatto chi insegna con chi impara, ovvero quell’assenso volontario che chi ascolta dà a chi parla. Contrappone l’obbligo del sapere al piacere della sua scoperta, rivalutando l’enunciato aristotelico per cui “tutti gli uomini aspirano per natura alla conoscenza“, acquisendo il merito di rivitalizzare questa propensione umana, orientandola nuovamente verso il sapere scientifico, svilito dall’avanzare di improbabili credenze. Tutto questo Alberto lo fa con la sapienza del divulgatore, opta per un linguaggio spendibile ovunque e comprensibile ad ogni pubblico. Rinuncia a tecnicismi complicanti, tipici della partizione settoriale del sapere, si fa ponte per aggirare quel solco incolmabile che rinchiude la conoscenza specialistica entro recinti elitari, non includibili nel piacere semplificante del sapere divulgabile. Ma a premiare Alberto non sono solo i suoi indubbi meriti, ecco che improvvisamente la rete lo eleva a personaggio positivo. Il suo rassicurante sorriso, la sua barba incolta, i suoi modi garbati e tutto il resto che contribuisce a definire il personaggio, fanno sì che venga promosso a icona di un inaspettato fascino maschile. Alberto sgonfia bicipiti e tartarughe altrui senza sforzo alcuno, e l’universo maschile apprende che i propri modelli supermachisti, ipotizzati come affascinanti, vengono bypassati dalla normalità che diventa virtù. Si ritrova suo malgrado ad essere un sex symbol. Deve cavalcare un’onda e lo fa con ironia ed eleganza, senza mai gonfiare il petto né tirarsi indietro. Fa il tutto esaurito ad ogni presentazione dei suoi libri, e sui social si contano diverse pagine create dai suoi fan e seguite da centinaia di migliaia di persone. Alberto diventa un fenomeno del Web, e anche lui dovrà sottoporsi alle sue leggi. Il divismo della rete ha una genesi propria. Privo delle isterie dei tempi dei Beatles, consuma tutto più rapidamente. Crea miti e li spedisce nell’oblio con una voracità senza appello. I registri estetici di questa nuova utenza, seppur mutevoli, non sono privi di caratteri fissi. Il divo del momento nasce per commistione tra il suo ruolo e le aggiunte ironiche, tipiche dell’esasperazione grottesca che tanto piace alle nuove generazioni, e che è molto poco capita da quelle vecchie. Questa eco mediatica di popolarità, fissa e rinforza il ruolo di Alberto, lui è uno degli eletti a cui spetta l’immagine mitica di chi deve riaprire il vaso di Pandora per fare uscire la speranza rimastavi rinchiusa, e ridare alla conoscenza quelle rigorose basi che le sono fondative, riportando la nebbia della credenza laddove deve stare, ovvero nel ricordo di tempi lontani che nessuno rivuole o dovrebbe rivolere indietro. Ben venga tutto quindi, anche un momento di notorietà dovuta a involontari meriti extra curriculari, se poi tutto ciò diventa veicolo per conquistare più ampi spazi dove divulgare conoscenza e informazione corretta. È importante però mai dimenticare le insidie che si possono nascondere dietro chi veicola, o tra chi esalta solo “chi” informa piuttosto che orientare il focus sul “che cosa” contiene l’informazione che questi diffonde e vigilando sulla sua validità. Perché tra informare e manipolare, il confine è sempre molto labile, così come tra apprendere ed essere imbrogliati. Il vasto oceano dell’informazione è una promessa di potere troppo ghiotta per chi se ne assicurasse il controllo, e in mari così estesi sono più i pirati che gli eroi.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
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Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
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