Una campagna referendaria pessima, dai toni esasperati, durante la quale i militanti di una e dell’altra fazione se ne son detti di tutti i colori. Il confronto prescindeva sostanzialmente dai contenuti costituzionali, era, anzi, tutto improntato sull’attività politica del governo nazionale, e a livello locale sull’attività amministrativa. In Sardegna il bersaglio era ed è Pigliaru, la sua giunta e i guasti che sta causando; a Cagliari nel mirino c’era Zedda; a Sassari Nicola Sanna, le “sue” piste ciclabili e il suo essersi schierato a favore del SI. Il risultato era ampiamente previsto (personalmente avevo anche azzeccato le percentuali) e ora lo scenario che si apre è piuttosto complesso. Matteo Renzi ha fatto bene a dimettersi, e lo ha fatto con un discorso molto responsabile. Uno spessore politico così elevato non lo si vedeva da tempo. L’assumere su di sé l’onere della sconfitta lo ha fatto riabilitare anche agli occhi dei suoi più accesi avversari. In pochi avrebbero previsto, da uno che si era sempre mostrato un po’ guascone, quel discorso così, maturo, ricco di passione e di attaccamento alla nazione, alle istituzioni, al partito. 60 a 40, una sconfitta senza alcun dubbio. Ma su quel 40%, tutto ascrivibile a Matteo Renzi ci sarebbe da fare più di una riflessione. Intanto assume un significato notevole se lo si mette a confronto con quel 60% al quale guardano i vari condor che stanno cercando di farlo proprio e di banchettarvi attorno. Quanto ne spetta a Grillo? Quale percentuale può vantare Salvini? Quanti elettori di Berlusconi e quanti della Meloni? E D’Alema, Bersani, Fassina, Civati, Vendola, i neo comunisti, la CGIL, l’ANPI e altri colorati “comitati per il NO” quanto hanno contato in quel corposo 60% su cui alcuni cantano Bella ciao, altri sventolano le bandiere di Casapound, altri, muti, pensano all’ultima ora dell’uom fatale”? Renzi molto responsabilmente ha rassegnato le dimissioni. Tuttavia ciò che attende la politica fin da domani non può prescindere da quel 40% che, se pure rappresenta la sconfitta di questo referendum, è un notevole patrimonio da cui partire per tentare di ricostruire i rapporti lacerati con la sinistra e su cui gettare le basi per una piattaforma programmatica che tenga conto dell’attività di questi ultimi due anni, degli errori commessi, delle cose fatte, e degli enormi problemi in cui si dibattono gli italiani. Difficilmente si andrà a elezioni nell’immediato e con una legge elettorale sulla quale tutti i vincitori del referendum hanno espresso grosse remore. È invece probabile che si ricorra ad un governo dalla forte connotazione istituzionale che traghetti la nazione verso la fine della legislatura col compito principale di redigere una legge elettorale condivisa. E Renzi? Renzi ha di fronte due strade: – abbandonare la politica, dimettendosi da segretario del PD il quale andrà ad un congresso da resa dei conti; – restare alla guida del PD, preparare il congresso e, forte di quel 40%, presentarsi come leader di un partito democratico che abbia fatto una profonda autocritica e un vero rinnovamento, e alla guida di una coalizione di centro sinistra con un programma innovativo che tenga conto delle istanze finora inascoltate di una nazione in ginocchio. Io propendo per la seconda ipotesi.
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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