Ieri una persona che conosco molto bene, un ultraottantenne con uno scompenso al cuore, ha avuto la seguente esperienza.
Qualche premessa: l’uomo è seguito dal suo medico di base che ovviamente lo conosce bene, e da un cardiologo olbiese che ogni sei mesi lo visita e, se è il caso, modula i farmaci in funzione delle necessità.
Il paziente ha anche degli amici con cui, oltre che di cantieri, discute di malanni e dei rispettivi rimedi. Uno di questi amici, con l’intento di rendersi utile, ha presentato il paziente al suo cardiologo di fiducia: un chirurgo con aria da luminare, attivo in certe cliniche del Nord. Dopo una visita lampo in un ambulatorio di fortuna, il luminare ha emesso il verdetto: “tra dieci giorni ci vediamo nella mia clinica: la opero”.
Il paziente, già ipersensibile di suo, inizia ad agitarsi all’idea di essere catapultato al Nord sotto i ferri dello sconosciuto medico, e alla domanda “Ma non potremmo fare il prossimo anno?” si sente rispondere: “Chissà se ci arriva, al prossimo anno”.
La visita si conclude con strette di mano e parole di gratitudine per una così immediata disponibilità a prendersi cura del proprio cuore. Si conclude anche con 150€ in contanti per il disturbo e una rimodulazione alla terapia già seguita. Nessun referto scritto da poter mostrare agli altri medici per un consulto, se si fa eccezione per uno scontrino con un tracciato di elettrocardiogramma. Il Ronaldo della situazione non accenna dunque a volersi rapportare non dico con quelle capre dei familiari, ma nemmeno col medico di base e col cardiologo che da anni seguono il paziente e ne conoscono, da punti di vista diversi, il quadro clinico e la complessità anamnestica.
Quel paziente, agli occhi del luminare, ha smesso di essere una persona con una sua storia medica, diventando un portatore sano di difetti, da aggiustare ovviamente nella propria officina privata. Non importa se la Sanità pubblica stava già seguendo il caso, non importa se il medico di base e il cardiologo olbiese fanno riferimento alla stessa Scienza del luminare, non importa se il paziente ha superato gli 80 e prima di toccargli il cuore devi fare un bilancio attento tra rischi e benefici: nulla di tutto questo. Quello che conta è girare l’Italia in cerca di nuovi clienti, giocare un po’ a spaventarli e un po’ a rassicurarli, e alla fine tirare fuori un intervento che il Servizio sanitario nazionale rimborserà.
Alcuni amici medici, da me sentiti sulla vicenda, hanno giudicato molto scorretto questo atteggiamento. Uno di loro mi ha parlato di una forma di colonizzazione sanitaria: pare che molte persone anziane, abitanti lontano dai grandi centri di eccellenza della medicina, vengano avvicinate e convinte a sottoporsi a interventi di lusso, bypassando completamente la loro storia clinica e le relazioni di cura già costruite a sostegno dei loro problemi.
Il caos dei social ha forgiato la figura del complottaro ignorante, quello che studia il cancro su google perché non si fida dei camici bianchi. Ma dove finisce il complottismo e dove inizia la confusione? E quanto questa confusione è dovuta alla metamorfosi che la Sanità e l’idea di Cura stanno vivendo? Il pubblico è sempre più irretito in protocolli per ottimizzare la spesa (tagli), e indietreggia lasciando spazi scoperti in cui il privato si insinua, continuando ad attingere a risorse pubbliche. Come nel caso del paziente ultraottantenne trasformato in un’ottima occasione di lavoro.
È lì che mi è venuta voglia di andare su Google, dove ho scoperto che un’angioplastica coronarica può fruttare al privato il rimborso di 4.000 € se percutanea, e fino a 17.000 se a cielo aperto; soldi pubblici che, opportunamente moltiplicati per tutti i casi simili, potrebbero meglio servire per potenziare qualche servizio di terapia oncologica, qualche erogazione in campo pediatrico dove gli ambulatori scarseggiano, o per comprare siringhe e carta igienica per ospedali di periferia già pesantemente tagliati.
Il sospetto che, per soldi, un luminare scavalchi bellamente il lavoro di colleghi che conoscono un paziente meglio di lui, non fa vacillare la fiducia nella Scienza, fa vacillare la fiducia nei medici. Il ché , se parliamo di persone che non si occupano di Epistemologia ma che della Sanità pubblica hanno bisogno, è un danno decisamente peggiore.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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