Potete metterla come volete ma la fine del PCUS, ovvero del Partito comunista sovietico, è sicuramente un avvenimento. Anche in tempi di guerra. Soprattutto in tempi di guerra. C’è gente che c’è nata e cresciuta con Lenin e Stalin e c’è gente che ha osservato con una certa riluttanza Nikita Chruščëv quando denunciò i crimini di Stalin, nel 1956, avviando un processo denominato “destalinizzazione”. Molti italiani pensarono di emigrare in Russia a vedere il sol dell’avvenire. Quel partito nato nel 1912 riuscì a sopravvivere a molti passaggi di una storia complessa: vagò tra due guerre mondiali e una guerra “fredda” con gli odiatissimi Stati Uniti d’America. In Italia nacque una lunga discussione che durò fino al 1991 quando dopo il Putsch di Mosca, Boris El’cin, l’allora Presidente della Repubblica Federativa Socialista Sovietica Russa, mise al bando il PCUS nel territorio della Russia. Gorbačëv il 25 agosto si dimise ed il PCUS e dopo quattro giorni, ovvero il 29 agosto 1991 venne ufficialmente “sciolto”. Non ci sono più i comunisti, le falci e i martelli, le iconografie di una sinistra “seriosa” e dedicata solo al lavoro e al partito. In Italia erano i tempi della bandiera rossa “che trionferà” contro i “baciapile” democristiani ma, in realtà nel nostro paese, tutto si “modificava”. Il Partito Comunista italiano, guidato da Enrico Berlinguer, cominciava ad essere molto critico con i cugini russi. Si arrivò allo strappo definitivo e all’idea di un compromesso storico con la Democrazia Cristiana. Siamo sempre stati un paese pronto a discutere, nonostante le forti contrapposizioni. Poi la foga berlusconiana riportò tutto allo schieramento netto: ritornò la paura che i comunisti mangiassero i bambini, nonostante il PCUS fosse stato sciolto da molti anni e le famose purghe di Stalin erano ormai storia passata. Insomma, c’era gente disposta a vendere fantasmi per nascondere altro. Lo abbiamo scoperto troppo tardi. Probabilmente. Però, a pensarci bene mio zio “bandiera rossa” continua a cantarla e a volte, quando sente parlare di Berlinguer, si commuove.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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