Avevo 12 anni quando facemmo la prima uscita di squadriglia. Da Alghero a Valverde, sette chilometri a piedi. Fare il boy scout consisteva nell’avere, da subito, la possibilità di risolvere anche i piccoli problemi da solo, senza l’aiuto degli adulti. Era il 1971 e quindi in pieno medioevo. Però quegli anni li ricordo come i più belli, i più anarchici, perché rappresentavano la scoperta del nuovo, dell’ignoto; rappresentavano la conquista di un traguardo. Nel 2017, molte ere geologiche dopo, dobbiamo presentarci a scuola, alla fine delle lezioni per prelevare i nostri figli che hanno meno di 14 anni. E’ una legge che non è mai stata messa in pratica e che è stata rispolverata da alcuni dirigenti scolastici che non vogliono prendersi nessuna responsabilità sui ragazzini. Non discuto la validità della richiesta: dura lex sed lex, ma mi chiedo: possibile che dobbiamo ormai camminare, crescere, respirare, fermarci e ripartire solo in base a delle norme scritte? Possibile che ci siamo persi per strada anche quel “libero arbitrio” che ci veniva regalato dalla religione più oscurantista? Siamo davvero così sicuri che andare a prelevare i figli sotto i 14 anni è una cosa normale? Sicuramente lecita ma forse esagerata. Sono ritornato indietro nel tempo: alle scuole elementari, tranne il primo giorno, ci sono andato sempre da solo ma erano praticamente davanti casa. Alle scuole medie ci sono andate sempre da solo ed erano a 500 metri da casa. Non parliamo delle superiori dove mi sarei vergognato se i miei genitori si fossero presentati davanti alla scuola per prelevarmi. Sono cresciuto in maniera molto autonoma un po’ come tutti i miei compagni di quel periodo: trascorrevo molto tempo per strada, a casa di amici, giocavo a pallone e con gli scout ci addentravamo nelle campagne più sperdute con una tenda e molte risate. Erano altri tempi, certo. Però, lasciatemelo dire: questa storia che bisogna andare a prendere i ragazzini all’uscita di scuola mi lascia perplesso, non tanto per il traffico di automobili che aumenterebbe in maniera esponenziale, quanto perché questi nostri ragazzini – che già sono cicciobelli sino alla maturità ed oltre – rischierebbero di trovarsi imprigionati in un mondo che non è loro. Noi andiamo a prendere ragazzini che in internet fanno cose a volte terribili. Forse dovremmo provare a modificare gli assetti e gli orizzonti. O no?
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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