Cominciamo da qui: Abu Mazen, parlando di come nacque in Europa l’odio antiebraico, ha detto cose vere.
Accusato di spargere chissà quale veleno contro Israele e gli Ebrei, il leader palestinese ha invece ricordato la millenaria violenza cristiana e alcuni dei pregiudizi di cui si è alimentato l’odio verso i “Giudei”, sfociato poi nella diabolica follia dello sterminio hitleriano.
«In Europa orientale e occidentale gli ebrei sono stati periodicamente massacrati nei secoli, fino all’Olocausto», avrebbe detto il presidente palestinese. «Ma perché è accaduto?», si sarebbe poi chiesto. «Loro dicono: “È perché siamo ebrei”. Vi porterò tre ebrei, con tre libri, che dicono che l’odio verso gli ebrei non è causato della loro identità religiosa, ma dalle loro funzioni sociali».
Pare abbia anche detto che la nascita dello stato di Israele nel secondo Dopoguerra, è stata un’operazione coloniale incoraggiata dall’Occidente.
Io non trovo queste affermazioni scandalose, né impregnate di antisemitismo, né di negazionismo. Abu Mazen non ha affatto negato la Shoah, avendola piuttosto condannata per ciò che è stata: «un terribile, imperdonabile crimine contro la nazione ebraica, un crimine contro l’umanità che non può essere accettato dal genere umano».
Eppure è di negazionismo che Abu Mazen è stato accusato, e a me è sembrata più scandalosa, come sempre, la caccia alle streghe partita come una “ola”, il volteggiare di forconi materializzatosi nella maggior parte dei titoli fin qui usciti. Leggendo i commenti indignati, coralmente indignati, alle parole di Abu Mazen sulle cause dell’Olocausto, si ha piuttosto la sensazione che la Palestina sia in trappola, che ogni occasione sia buona per isolare i suoi leader moderati e che l’Occidente in realtà non intenda muovere un dito per bilanciare gli abusi di potere israeliani, che vanno ben al di là del diritto all’autodifesa: la violenza di “Piombo fuso” e i morti disarmati uccisi a sangue freddo dai cecchini nelle scorse settimane, ce lo indicano con chiarezza.
L’Europa però, oggi, sembra aver colto l’ennesima occasione per incoraggiare la durezza Israeliana verso un popolo che ha perso ormai quasi ogni diritto.
E allora, vale la pena ricordare, sulla scorta del bellissimo lavoro di Cesare Mannucci, “L’Odio Antico”, quanto datati e radicati siano, nel pensiero cristiano occidentale, piuttosto che nei Palestinesi, i pregiudizi, la diffidenza e l’odio verso gli Ebrei. Vale la pena ricordare che toccò attendere il Concilio Vaticano II di Papa Roncalli, per cancellare dalla catechesi quotidiana e rituale “l’accusa che l’intero popolo Ebreo era colpevole, dalla prima all’ultima generazione, della Passione di Cristo” o per accantonare finalmente formule liturgiche in vigore ormai dal IX secolo, come “pro Judaeis non flectant” (per i Giudei non ci si genufletta) e “Oremus pro perfidis Iudaeis” (preghiamo per i perfidi Giudei); e tocca anche ricordare quanto forti furono le resistenze, da parte di prelati che partecipavano ai lavori del Concilio, contro ogni “alleggerimento” delle responsabilità degli Ebrei rispetto alla millenaria accusa di deicidio che si portavano appresso dai tempi di Ponzio Pilato. Ricordiamo anche la frase di Jules Isaac, storico francese di origini ebraiche, pronunciata nel 1947 a un convegno di studiosi dei tre grandi monoteismi: “L’antisemitismo cristiano è il ceppo potente, dalle profonde e molteplici radici, sul quale sono venute a innestarsi in seguito tutte le altre varietà di antisemitismo anche anticristiane come il razzismo nazista”.
Con Mannucci, e contro le semplificazioni di chi oggi attacca strumentalmente Abu Mazen, dovremmo semplicemente restare in guardia contro banalizzazioni e semplificazioni, come quella di infilare, sotto l’ombrello dell’Antisemitismo, tutta una serie di “antisemitismi” tra loro slegati per modalità, cause e contesto storico; antisemitismi in parte tramontati, come quello legato a pericoli per la salute e l’incolumità delle persone, che voleva gli Ebrei untori durante la peste e uccisori di bambini per scopi rituali; o l’antisemitismo ancora strisciante e diffuso, nell’Europa orientale come in Italia, che vuole gli Ebrei colpevolmente e avidamente legati al prestito a usura e a grandi interessi bancari: lo stesso che Abu Mazen ha citato, e per cui oggi vinee crocifisso.
Gli Ebrei sono stati il Capro espiatorio preferito, per 2000 anni, per l’intera Cristianità. Non è un questione religiosa, non più di quanto siano “religiose” le guerre di religione attorno al petrolio, all’oro o agli snodi che controllano le vie del commercio; semmai è una questione di poteri che prendono forma, di società che temono per la propria sopravvivenza e hanno bisogno di individuare un nemico da colpevolizzare e su cui scaricare il proprio stesso male come, appunto, in un Olocausto. Oggi, per fortuna, gli Ebrei sono seduti dalla parte sicura del tavolo. La parte opposta di quel tavolo però non è vuota: seduti ci sono altri popoli, altre etnìe, altre storie più o meno date per scontate, tragedie più o meno ignorate: Nativi Americani, Palestinesi, Africani, Rohingya, Aborigeni. E credo che quell’antico bisogno dei “forti” di accerchiare, isolare, additare, ghettizzare, respingere, condannare per cose mai commesse, sia ancora vigorosamente all’opera, come il richiamo costante di un abisso già visto ma sul cui ciglio ci ostiniamo a camminare.
E allora valga la frase riportata da Mannucci in apertura del suo libro, espressa da François Mauriac, pensatore cattolico forse pungolato dal senso di colpa, all’indomani della presa di coscienza di cosa era stata la Shoah e di cosa era stata capace di fare una parte consistente dell’Europa cristiana: «… possa metterci in guardia contro il ritorno, in noi medesimi, di quell’odio antico che abbiamo trovato nel nostro retaggio… ».
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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