A Parigi ci sono stata solo una volta nella mia vita. Esattamente quindici giorni fa. L’ho percorsa a piedi in lungo e in largo, con un’amica che ha dovuto prestarmi un suo paio di scarpe per camminanti, poiché tanti chilometri mi stavano sgarrettando e lussando le anche. Andavo a Parigi disubbidendo agli ordini dei medici, Assoluto riposo. Ci sono andata pensando, Vedi Parigi e poi muori. In un certo senso sono morta, dopo Parigi, assieme a tanti altri. Diversamente, ma sono morta. Io posso ancora parlare. Non so se tornerò a Parigi, troppa ardesia sui tetti: sembra posta lì per obbligarti a scriverci sopra con il gesso. Non so più scrivere. Non voglio scrivere. La prima sensazione provata in questa città è stata il disagio. Tutto era troppo più grande di me. Una specie di Impero. Innumerevoli le tracce della Potenza di Parigi. Io sono nata e vivo tra gli stagni e il mare e le piccole cose. La metropolitana è un aggeggio agghiacciante; temevo, le poche volte in cui mi sono vista costretta a salirci, che le porte avrebbero certo decapitato qualcuno. Zac! Visioni di tante Maria Antonietta. Proprio in metropolitana ho pensato per la prima volta che era semplicissimo compiere attentati lì dentro, così come accanto ai mille monumenti, e in ogni strada. Ho pensato che nessuna protezione poteva esistere, a Parigi, come in nessuna parte del mondo. Più. Neppure sui miei stagni, o il mare. Già quindici giorni fa Parigi mi era sembrata popolata da assenze disincantate e quasi surreali. Mi spiegavo questa sensazione con il mio provincialismo. Certo era così. Oppure che cos’era? Ero io l’invisibile? A Parigi nessuno ha mai risposto a un mio, Buongiorno, o, Ciao. A Parigi io mi smarrivo. Quando ho visto il bar dove andava Sartre non ho provato assolutamente nulla. Che a Parigi abbiano vissuto scrittori o artisti che tanto amo non mi ha procurato emozione. Loro sono morti, e nei cimiteri dove ancora sono presenti le loro lapidi, io non ho visto che le famose foglie d’autunno di Paris. E muschio. La Senna scivolava come una biscia muta. Vecchie signore passeggiavano mascherate di rimpianta aristocrazia. Lente lente. Giovani signore non accettavano le scuse di un distratto che aveva fatto cadere dalle loro mani un cellulare più prezioso della vita stessa. Un uomo nero in volto e biondo nei capelli dormiva in piedi ma stringeva forte nella mano un libro. Tre figure in frac su un marciapiede mi sono parse rondini fuggenti. I bistrot non chiacchieravano. Non ho visto nessuno che ringraziasse la sedia che lo aveva ospitato. Ma è davanti a un Arco trionfale che ho compreso che i parigini, quel giorno preciso almeno, non avevano piacere di ammirare le dalie lì accanto, e neppure i turisti a parte me. Quanto erano inutili quei fiori! Quando ho visto le immagini degli attentati. Quando ho visto le foglie e le cicche di sigaretta sulle strade. Il sangue. La paura. Quando. Quando ho visto tutto ciò sapevo d’aver già previsto tutto. La “vendetta” che ora chiede un disastroso Capo di Stato è inutile: nulla può fare del male ai parigini. Hanno perduto tanto e tanto da un pezzo. Ho lasciato la città con un ricordo soltanto, il più importante che può avere una strega: la bellezza straordinaria e la cortesia di un uomo gestore di un bar alle due del mattino. Era siriano.
S.D.M.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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