E se fosse il cardinal Bertone a chiedere di parlare in una scuola? Quello dell’attico, già ci siamo capiti. Gli riconosceremmo la statura morale per impartire lezioni di vita ai nostri figli? Se una preside gli negasse il permesso, si alzerebbe lo stesso polverone che ha meritato il caso del vescovo di Sassari? Non credo, credo anzi il contrario: forse ci indigneremmo, in questo preciso momento, se il permesso a Bertone fosse concesso. La morale è banale, eppure profonda: dentro un abito talare c’è un uomo. C’è chi è stato educato a vedere in un uomo di chiesa un’autorità a prescindere, c’è chi lo considera semplicemente un uomo. E di uomini ce ne sono buoni, meno buoni, pessimi: non tutti li vorremmo come insegnanti per i nostri figli. Scusate se divago. Portella della Ginestra, provincia di Palermo, 1 maggio 1947. Una folla composta da centinaia di famiglie contadine si è radunata per la festa dei lavoratori, il giorno dopo la vittoria alle elezioni regionali dei partiti di sinistra. Dalle colline attorno partono raffiche di mitra che uccidono undici persone e ne feriscono diverse decine. A sparare sulla gente inerme furono il bandito Salvatore Giuliano e i criminali della sua banda, terminali di una congiura reazionaria che, secondo il giudice e storico Ferdinando Imposimato, segna il primo episodio della strategia della tensione. Un osservatore qualificato, al tempo, commentò la strage considerando inevitabile <<la resistenza e la ribellione di fronte alle prepotenze, alle calunnie, ai sistemi sleali e alle teorie antiitaliane e anticristiane dei comunisti>>. Insomma, contro i comunisti era comprensibile usare i mitra. In realtà erano contadini, con le loro mogli e i loro bambini.
30 maggio 1963, Ciaculli, nei pressi di Palermo. Un’autobomba esplode ed uccide sette componenti delle forze dell’ordine. È, chiaramente, un’azione della mafia. Allo stesso qualificato osservatore di prima, i superiori chiedono una presa di distanze netta dalla mafia. Ecco la sua risposta alla sollecitazione: <<Un alto funzionario di polizia, ben addentro alle segrete cose e abilissimo, proponeva il dubbio: che cosa si dovesse intendere per mafia, e rispondeva egli stesso che trattasi di delinquenza comune e non di associazione a largo raggio. Spesso sono vendette per torti ricevuti, altre volte contrasti per interessi privati, che creano gelosie e invidie; tal’altra sono giovinastri disoccupati che tentano di far fortuna con furti e ricatti>>. Secondo costui la mafia era un’invenzione, per farla breve. Strano, perché a me risulta che abbia fatto duemila morti.
Ecco, il “qualificato osservatore” rispondeva al nome di Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo dagli anni quaranta e per i vent’anni seguenti. Ad un signore che trova attenuanti per una strage e nega l’esistenza della mafia voi riconoscereste l’autorità morale, ma forse soprattutto intellettuale, per insegnare ai vostri figli? Basta portare le vesti da uomo di chiesa per poter salire in cattedra? Tornando a noi, io credo che nella vicenda contorta del vescovo di Sassari e del suo incontro scolastico non tutto sia stato detto, forse perché non si è ritenuto opportuno dirlo. Forse l’intervista rilasciata da monsignor Atzei a Tiscali può spiegare perché, tra i docenti della scuola di San Donato, non tutti abbiano ritenuto conveniente quella lezione a scuola, preferendo come sede per l’incontro la Chiesa. Io trovo giusto che le autorità scolastiche decidano, caso per caso, chi far entrare nella scuola di cui sono responsabili. Sanno che dentro un abito talare c’è un uomo: c’è chi ne riconosce il ruolo qualunque cosa dica, c’è chi valuta uomo e uomo. L’incontro in Chiesa sarebbe stato, a mio avviso, una soluzione rispettosa per gli uni e per gli altri.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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