Io quella roba di una quarantina d’anni fa me la ricordo come fosse ieri, perché era una tappa della mia esistenza. Al termine degli orali dell’esame di Stato un signore si alzò dalla sedia e mi alzai anch’io. Mi porse la mano e mi disse: “Complimenti, lei da ora è giornalista professionista”. Non era soltanto il lavoro sicuro (a quei tempi quella stretta di mano era come un posto nella pubblica amministrazione e con uno stipendio più alto) ma significava entrare a fare parte di una categoria prestigiosa, sentivi svilupparsi un senso di appartenenza represso durante i lunghi periodi di precariato e di praticantato e che l’ufficialità ora rendeva libero. Che cosa c’entra con la quarta edizione del premio di drammaturgia sarda intitolato a Giampiero Cubeddu? Il fatto è che ho provato qualcosa di simile ad allora quando gli organizzatori del premio, cioè la Compagnia Teatro Sassari, qualche mese fa, mi hanno chiesto di fare parte della giuria. Nonostante la mia discreta età e il conseguente pelo cresciuto folto sullo stomaco, ero davvero emozionato. Anche in quel momento il mio inconfessato senso di appartenenza al mondo del teatro poteva essere reso libero da questa prestigiosa partecipazione che ho vissuto proprio con la stessa gioia di quell’esame di Stato. E così ho visto come funziona l’autorevole premio che ormai si è collocato tra i più importanti appuntamenti del mondo teatrale sardo. La lettura dei testi è attenta, analitica, ma anche priva di cipiglio tecnico per aprirsi più liberamente alle emozioni che ciascun testo, come richiesto dal regolamento, deve sapere suscitare. Un esame attento guidato magistralmente dal presidente Pino Serpillo che ha coordinato il lavoro mio e dei miei colleghi Clara Farina, Mario Lubino, Gianni Garrucciu e Pasquale Porcu. Nessuno di noi, perché non fossimo influenzati da eventuali conoscenze personali o pregiudizi positivi o negativi sugli autori, conosceva i nomi dei concorrenti. Conoscevamo soltanto i testi. E devo dire che non mi sono stupito quando ho appreso che quello che tutti noi avevamo indicato come il lavoro migliore, “Gianni Barrosu”, era stato scritto da Emanuele Floris. Il vincitore di questa edizione del premio biennale è un bravissimo e noto regista e autore teatrale. Emanuele si è diplomato in regia nel 1997 all’Accademia ‘Silvio D’Amico’ di Roma sotto la guida di Andrea Camilleri. Ha studiato anche con Mark Ravenhill, Jean Ménigualt, Vladimir Olshansky, Ugo Chiti, Peter Stein (di cui è stato l’assistente per la messa in scena integrale del Faust di Goethe, Expo di Hannover, 2000). Tra i suoi spettacoli: ‘Texticul’, finalista Premio Scenario 2005; ‘La parrucca di Mozart’ di Jovanotti/De Franceschi; ‘Un Piccolo Principe’ di Cappelletto/Sirigu da Saint-Exupéry; ‘Sorelle Materassi’ da A. Palazzeschi. Ha vinto il primo premio del concorso ‘Per voce sola’ (Cuneo, 2007) con ‘Salomè dopo la cura’, ed è stato finalista dell’ottava edizione di ‘Schegge d’autore’ (ENAD, Sindacato Nazionale Autori Drammatici) con “Stuff”. E ora anche il Premio Cubeddu, che ha vinto con un bellissimo e originale testo che reinterpreta in una affascinante modernità gli stili e le maschere della commedia dell’arte. Lo vedremo probabilmente in scena entro breve con la regia dell’autore. Ci sono state anche due meritatissime menzioni. La prima, che equivale direi a un secondo posto, è andata a “Un affidu cumenti si tocca”, di Paolo Casiddu, interessante e godibile commedia che mi auguro di vedere al più presto rappresentata. L’altra, pregevole anche per l’uso del linguaggio oltre che per competenza di scrittura teatrale, è “Forse noi”, di Luca Losito. E così anche quest’anno il Premio Cubeddu ha svolto la sua duplice funzione: diffondere la passione per il teatro e per la scrittura teatrale (molti gli esordienti che hanno partecipato e hanno ottenuto riconoscimenti nelle varie edizioni) e quella di ricordare la figura di Giampiero Cubeddu, uno dei più significativi esponenti del teatro sardo e tra l’altro “padre” della Compagnia Teatro Sassari, una delle più quotate in Sardegna e apprezzata a livello nazionale. Cubeddu e la Compagnia Teatro Sassari hanno fatto nascere negli anni Settanta un vero teatro popolare che attraverso la strumento della lingua e delle lingue ha svolto e svolge un impareggiabile lavoro di scoperta e diffusione delle identità sarde: in particolare di quella sassarese, che Cubeddu ha sottratto agli stereotipi della semplice “cionfra” per rivelare una cultura articolata e profonda in ogni suo aspetto. Cubeddu ha riempito i teatri con le commedie in lingua sassarese, con le reinterpretazioni della drammaturgia di altre etnie italiane e straniere, ma anche con altre raffinate operazioni che toccavano ogni campo della teatralità, compresa l’operetta o le opere buffe del Settecento italiano, delle quali curava la regia e con le quali organizzava rassegne rimaste nel ricordo di molti sardi. Ma Cubeddu e Teatro Sassari hanno riempito anche le strade e le piazze: a esempio con la riscoperta dell’antichissima tradizione delle Gobbule (con la collaborazione del linguista Leonardo Sole che studiò questa forma di poesia teatrale spontanea e popolare insieme all’etnomusicologo Pietro Sassu); oppure utilizzando gli scenari naturali delle piazzette del centro antico di Sassari, i patii, per mettere in scena in vari luoghi “Lu Patiu” di Cesarino Mastino. E’ soprattutto a questa operazione, alla quale avevo collaborato su richiesta di Giampiero, che pensavo l’altro giorno al teatro Civico (il “suo” teatro, che ancora non capisco perché non gli sia stato intitolato) durante la consegna dei premi. “Lu patiu” itinerante nel centro storico animò per alcuni anni le estati sassaresi. Alla prima rappresentazione, in largo Casalabria, Giampiero si sedette accanto a me. E quando ci fu il primo applauso mi volsi contento verso di lui. Piangeva di gioia.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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