Ci mancava solo la pioggia, scrosciante. Varo, buon governatore ma inesperto militare, guidava tre legioni romane nel labirinto della foresta di Teutoburgo, 20 mila uomini. La fila di soldati e di carri al seguito si articolava lungo quello strano tracciato per tre chilometri e mezzo. Non c’era altro verso di raggiungere il luogo dove era in corso la ribellione dei Bructeri, così gli aveva detto Arminio, ufficiale dei suoi ausiliari germanici. Gli avevano detto di non fidarsi di costui. Gli avevano suggerito che poteva essere una imboscata, e la ribellione una messinscena. Varo osservò il cielo mentre, precipitando in pioggia, trasformava quel tracciato in mezzo alla fitta foresta in un pantano fangoso e acquitrinoso. Quando si accorse di quello strano terrapieno che, a manca, stringeva ancora di più la carovana verso la palude, il dubbio, sempre più forte e atroce di trovarsi in una imboscata, si materializzò. Arminio era sparito, improvvisamente, insieme a molti degli ausiliari di origine germanica. I grandi condottieri Druso e dopo di lui Tiberio, alcuni anni prima, avevano conquistato la provincia germanica, portando i confini dell’Impero Romano dal Reno all’Elba. A lui, Varo, già governatore in Siria, spettava ora il compito di organizzare la provincia e romanizzarla con gli istituti civili latini. Ma la provincia degli indomiti germanici, abili guerrieri, non era pacificata per nulla. Arminio sapeva bene, mentre organizzava le tribù germaniche per la rivolta e preparava l’agguato, avendo servito nell’esercito romano per anni, che l’organizzazione militare, l’addestramento e l’equipaggiamento dei suoi uomini, rendeva l’esercito imperiale praticamente invincibile. Bisognava ricorrere all’inganno, e soprattutto sorprendere i centurioni dove l’organizzazione e la tecnica militare nulla poteva contro la ferocia e l’ardore dei barbari. Osservò, prima di sparire nella fitta foresta, i romani avanzare a fatica, in mezzo al fango, nel bosco che si richiudeva, impantanati tra le liane, le fronde e gli acquitrini. Oltre 20 mila uomini reclutati tra le tribù germaniche, comparvero all’improvviso, dietro il terrapieno costruito apposta, stringendo verso la palude la lunga carovana dell’esercito romano. Per tre giorni i romani, come topi in gabbia, si difesero strenuamente dagli assalti dei germanici. Come spettri ululanti, essi comparivano dal nulla e altrettanto velocemente scomparivano nella selva. Varo assistette alla carneficina. Comprese di essere stato tradito da Arminio, e non si capacitò della propria inettitudine. Non gli restò da fare altro, di fronte al rischio di finire nelle mani dei crudeli nemici, che il suicidio. Quando la notizia della più grande disfatta dai tempi della battaglia di Canne giunse a Roma, il vecchio imperatore Augusto non riuscì a darsi pace. Tuttavia comprese, con la saggezza della sua veneranda età, che forse era giunto il momento di chiudere le frontiere dell’impero. Il giovane e valoroso Germanico, il figlio di Druso, inviato da Tiberio, il nuovo belligerante imperatore, in spedizione punitiva al di là del Reno, per alcuni anni imperversò tra le tribù germaniche nemiche, vendicando l’onta e recuperando due delle tre insegne aquiline perdute. Non prima di aver visitato il luogo della carneficina, dove la montagna di ossa di commilitoni insepolti attendevano il rogo purificatore della pietà. Tuttavia, la spedizione di Germanico tra i villaggi seminomadi delle tribù germaniche, tra boschi e paludi, null’altro fece che rendere più stabile il confine del Reno ed evitare che i seguaci di Arminio, sfuggito alla cattura, potessero in futuro prendere entusiasmo e rovesciarsi in Gallia o, peggio, nella penisola italiana, come tanti anni prima fecero i Cimbri e i Teutoni. Per secoli il luogo dell’immane battaglia fu dimenticato. Si narrava di quella foresta che restituiva monete e altri manufatti di epoca romana in grande quantità. Verso la fine dell’800 il luogo fu identificato con una certa precisione, confermata da studi e scavi scientifici alla fine degli anni ’80. La battaglia di Teutoburgo è uno di quegli eventi della storia che hanno stimolato la fantasia dell’ucronia, cioè delle ipotesi alternative della storia. Se non ci fosse stata, forse la provincia germanica si sarebbe romanizzata molti secoli prima dei Franchi di Carlo Magno e del Sacro Romano Impero. Secondo alcuni, nel caso, forse non ci sarebbero state, quasi duemila anni dopo, le due drammatiche e distruttive guerre mondiali del XX secolo, con quel tragico confine renano a simboleggiare la storica, millenaria frattura tra le due europe. Oggi, nel museo che conserva i reperti ritrovati in grande quantità, ai margini del luogo della battaglia, svettano le bandiere della riappacificazione tra le nazioni europee, per commemorare la fine, si spera, di una guerra durata duemila anni.
(foto tratta da wikipedia)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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