Delle due l’una: o lo ami o lo odi. Tertium non datur. Difficile dire se un grandissimo scrittore come lui infilava la realtà nelle pagine o se trasformava le pagine in realtà. E poco importa stabilire quale sia la causa e quale l’effetto quando da quelle righe si viene risucchiati e portati sottacqua: Bukowski è uno che si legge in apnea. Quella che ti circonda, mentre sei immerso nelle sue parole, non è l’acqua limpida, fresca e cristallina di un ruscello di montagna. Non è nemmeno il liquido amniotico del ventre materno che scalda e protegge. E’ un gorgo torbido, piuttosto. Un mulinello con un moto vorticoso. Ti ritrovi in balia di correnti fortissime dalle quali puoi solo lasciarti trasportare, trattenendo il fiato per non morire annegato. I suoi libri rivelano una vita di dolore, sentimenti ed emozioni esplorati nei loro aspetti più profondi, foschi e inquietanti. Percezioni di cui s’ingozzava e da cui era divorato.
Il giovane Bukowski ha un volto deturpato dall’acne, è un tedesco emigrato negli Stati Uniti, dove viene deriso per il suo indelebile accento teutonico. Una giovinezza di letture bulimiche, consumate di nascosto dai genitori, pagine illuminate da una lampada tascabile gli schiudono un mondo che non vive. Un padre duro, utilizzatore di quella pedagogia nera del Dr. Schreber in auge nella Germania nazista, lo punisce duramente per motivi di poco conto. Come quando, a 16 anni, rientrò ubriaco e vomitò sul tappeto del salotto e suo padre lo afferrò per il collo e cominciò a strofinargli la faccia sul vomito, come si fa con i cani quando fanno i bisogni in casa. Il giovane Bukowski gli sferrò un cazzotto di una tale violenza che lo fece stramazzare a terra. Fu l’ultima volta che provò a toccare il figlio.
Poco tempo dopo Charles se ne andrà di casa, vivrà di lavori provvisori e insoddisfacenti, ma che gli consentiranno di riempire il frigo di birre. Un’esistenza, la sua, che diventa il disvalore di tutto ciò che la maggior parte della gente antepone come valore. La scelta della semplice sopravvivenza. Il piacere, opposto a qualsiasi morale. La mancanza di obiettivi, nella vita lavorativa e in quella sentimentale. L’isolamento sociale. Fumo e alcool oltre i limiti della sopportazione fisica. La misantropia. Le giornate spese all’ippodromo, come fonte di sostentamento occasionale. Tutto questo, mescolato ora a sensibilità ora a menefreghismo, si condenserà meravigliosamente nei suoi libri. «Scrivere per me è come cagare, lavarmi. Sono qui solo per scrivere la pagina successiva».
Il 9 marzo 1994, all’età di 74 anni, Charles Bukowski muore in un ospedale di San Pedro, stroncato dalla leucemia fulminante. Quella “puttana con un dente d’oro, l’alito che sa di salame un po’ grassa e un po’ sbronza se ne va e non torna più indietro”. Nemmeno a prendere l’orecchino che ha dimenticato sul comò.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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