Quella di oggi è una data che alla maggior parte di noi rievoca il corpo di Aldo Moro, accovacciato nel cofano di una Renault 4 amaranto, e non i brandelli del cadavere di Peppino Impastato, smembrato da una carica di tritolo sui binari di una ferrovia.
Molti anni hanno avvolto nel silenzio le vicende di quel ragazzo che urlava a gran voce “Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!” Ora sì, lo sappiamo.
Conosciamo la storia del giovane che apparteneva a una famiglia mafiosa: lo era il padre e lo era anche lo zio, Cesare Manzella, capo-mafia di Cinisi. Ma lì a Cinisi, a circa trenta km da Palermo, gli anni di piombo, le rivolte studentesche, lo scompiglio del ’68, le Brigate Rosse arrivano attutiti. A Cinisi ci sono le certezze, “le famiglie” che amministrano le regole della vita e della morte. Dettano l’onore, con la violenza.
Ma a Cinisi c’è anche un ragazzo che si rifiuta di respirare l’aria fetida della sua famiglia, decide di non sottostare alle stesse regole dei consanguinei e si ribella. Insorge col furioso ardimento di chi ha la consapevolezza di essere nato da radici dolorose, ma intende diventare quel che vuole lui, non quello che la famiglia, il paese e un codice criminale volevano fosse.
La breve vita di Peppino non è solamente quella di un giovane uomo che combatte la mafia, è piuttosto l’emblema di un’esistenza che, più che abbattere, voleva generare consapevolezza e innalzare coscienze. E’ il sogno di un ragazzo che ha avuto l’azzardo di guardare oltre il perimetro farabutto della criminalità organizzata e sfidare il mondo nell’utopia di cambiarlo. La vita di Peppino è il simbolo dell’amore, della disillusione, dell’imbarazzo per il proprio sangue, del coraggio, del dolore e della disobbedienza.
E io, ogni volta che penso a lui, tento di proiettare il film della rivincita con un finale diverso. Dove non ci sia una carica di tritolo che ferma per sempre il protagonista e la sua precipitosa fuga verso l’onestà.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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