Io, questa storia del congresso di Vienna me la porto dentro da una vita. Non so oggi come funziona nelle scuole ma ai miei tempi la storia moderna finiva con il Congresso di Vienna e quella contemporanea nasceva subito dopo. La data di inizio era il 1814 e la fine invece – che imparammo a memoria- era il 9 giugno 1815. Il nozionismo ai miei tempi la faceva da padrone ma questo congresso di Vienna durato quasi nove mesi (gestazione perfetta) sconvolse la mia adolescenza. Alle scuole medie (parlo del 1972) il nostro professore si chiamava Lorenzo Chessa e per tutti “Tiu Larentu”. Un omone dalla voce enorme ma da un cuore morbidissimo. Spiegava la storia con parole semplici ma era severissimo con le date: “Vi serviranno nella vita” era il suo mantra ogni qualvolta ce le chiedeva. Dovevamo sapere quando era morto Napoleone, nato Mazzini, quando Cesare passò il Rubicone e quando finiva il Congresso di Vienna. A chi, timidamente, chiedeva per quale motivo ci sarebbe servito nella vita imparare le date a memoria rispondeva quasi tonante: “per non confondervi e per non farvi fregare”. Da grande ho capito che il suo era un bell’insegnamento. Serviva a storicizzare gli eventi, a capire in che epoca si muoveva Mazzini, Napoleone, Cesare e Guglielmo VIII. Entrando nel merito Tiu Larentu ci raccontava poi che il Congresso di Vienna era nato perché non se ne poteva più della rivoluzione francese e che si doveva ritornare all’ancien régime. Aggiungeva, di straforo, che la cosa più importante era che proprio in quel congresso si cominciò a comprendere che unire gli stati poteva essere una cosa proficua. Insomma, quello che ho capito che il 9 giugno 1815 a Vienna ci fu la restaurazione attraverso un’idea rivoluzionaria: unire le nazioni. Non basta ricordare la data, occorre anche portarsi dentro l’essenza delle cose. E, come avrebbe chiuso il mio grande professore di storia tiu Larentu Chessa: “Questo è, mì!”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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