Alla statua venne agganciata una pesante catena in ferro, trainata da un carro armato. La grande statua crollò e di essa non rimase che il piedistallo. Fu così che nell’immaginario collettivo, il 9 aprile del 2003, finì il regime iracheno di Saddam Hussein. La guerra in Iraq, la Seconda Guerra del Golfo, ebbe così il suo apparente, tragico epilogo, con la conquista delle forze statunitensi di Baghdad, dopo soli 20 giorni di guerra. Apparentemente: perché, in realtà, l’Iraq stava entrando in una fase di terrore molto peggiore della precedente, che perdura fino ad oggi, nonostante la cessazione ufficiale delle ostilità dati il 15 dicembre del 2011. L’ineffabile Saddam Hussein, un tempo amico dell’Occidente, tanto da essere sostenuto apertamente con finanziamenti e aiuti di varia natura nella guerra contro l’Iran, verrà condannato a morte da un tribunale iracheno per crimini contro l’umanità. La guerra in Iraq si è rivelata forse la più grande catastrofe umanitaria del dopoguerra. Oltre 5000 soldati occidentali morti insieme a decine di migliaia di soldati iracheni. Ma ciò che è più sconvolgente è la cifra dei morti civili, che si contano, a seconda delle fonti, in centinaia di migliaia di morti. Centinaia di migliaia di morti. Sono civili, dunque donne, vecchi e bambini innocenti, morti sotto i bombardamenti e nei conflitti a fuoco. Non sono mancati, peraltro, nel corso della guerra, prove di crimini di guerra da parte di soldati americani che hanno giustiziato, senz’altro, civili innocenti. Calcoli eseguiti dalle diverse organizzazioni umanitarie, fanno anche il conto dei morti indiretti, quelli per epidemie, carestie, denutrizione, causate dalla guerra. Allora il conto, a seconda delle fonti, passa dalle centinaia di migliaia ai milioni di morti. Milioni di morti per una guerra. Ma la conta dei morti da sola non basta per comprendere quella tragedia. Perché non c’è quasi persona, in Iraq, che non abbia perso il lavoro, o la casa, o la tranquillità. Non c’è quasi persona, in Iraq, che non abbia perso una persona cara, un amico, un genitore, un fratello. Un figlio. Mentre cadeva la statua di Saddam, del pericoloso dittatore, iniziava per il popolo iracheno, fino ad allora, tutto sommato, abitante di un paese che certamente non era un modello di democrazia, ma che garantiva pane, lavoro e scuola a tutti, un incubo infinito. La ragioni della guerra. Quali terribili ragioni possono aver portato ad una guerra con un sacrificio di sangue così alto e, particolare non da poco, con una spesa finanziaria colossale per gli Usa e anche per i suoi alleati? Dopo l’11 settembre, gli Usa, cavalcando l’onda emotiva di quei 3000 e passa morti, avviò quella che Bush definì “guerra preventiva”. Al terrorismo si intende. Solo che i terroristi dell’11 settembre erano sauditi, cioè provenivano da un paese con una dittatura peggiore persino di quella di Saddam, però alleata degli Usa. Che fare? Allora si disse che la guerra serviva per punire l’Iraq per l’appoggio al terrorismo ed in particolare a Bin Laden. Ma Bin Laden era nascosto in Afghanistan, mica in Iraq. E prove internazionali di un appoggio al terrorismo islamico da parte di Saddam, uno dei governatori in assoluto più laici del Medio Oriente, non si sono mai trovate. Del resto, Hussein era un dittatore sanguinario, ma tutto fuorché un fondamentalista, tanto che si mostrava in abiti borghesi. Allora si disse che Saddam Hussein era un dittatore. O bella! Come tanti altri dittatori nel mondo alleati con l’Occidente! Però si disse che Saddam perseguitava i curdi, cosa purtroppo tristemente vera. Esattamente come facevano, e fanno, i turchi, alleati della Nato. Allora si disse che l’Iraq preparava armi di distruzione di massa. Vennero persino confezionati, dai servizi segreti di varie nazioni occidentali, documenti che provavano ciò. Che poi si rivelarono falsi. I documenti del cosiddetto Nigergate si rivelarono falsi, ma intanto la ponderosa macchina bellica statunitense, ma anche inglese e degli altri alleati, era già partita a seminare morte, distruzione e terrore. Scusate, era una patacca, ci siamo sbagliati. Insomma, una intera nazione devastata, distrutta, senza uno straccio di motivo che si possa definire neppure lontanamente plausibile. Naturalmente i motivi erano altri, di natura geopolitica, di controllo di un’area strategica per l’occidente, dove i flussi di petrolio muovono interessi enormi. Controllo di un’area attuata, verrebbe da credere, mediante la sistematica destabilizzazione, dove alla fine, nella guerra tra bande, finiscono per prevalere le formazioni più fondamentaliste, come i talebani in Afghanistan e l’Isis in Iraq. E visto che ci siamo, giusto per non imparare dagli errori, si è deciso di ridurre in condizioni forse peggiori anche la Siria, anche se con metodi più subdoli e senza un intervento armato palese. Se l’obbiettivo era dunque quello di combattere il terrorismo, si può dire che non solo si è rivelato fallimentare, ma persino che abbia sortito l’effetto opposto. Un esito, del resto, piuttosto prevedibile a chiunque dotato di buon senso, figurarsi ai centri studi delle varie intelligence del mondo. Tanto che alla fine si è portati a pensare che, tutto sommato, un po’ di terrorismo, per portare avanti certi inconfessabili interessi, nel nostro mondo non guasta.
Fiorenzo Caterini
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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