Artemisia aveva un padre artista, un pittore talentuoso. Le piaceva guardarlo dipingere, l’arte la rapì da bambina, tra le lezioni paterne e le visite alla sua casa di Caravaggio. Non poteva che divenire pittrice, Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio. Purtroppo, una donna pittrice era un fatto parecchio eccezionale. E con questa realtà il suo magnifico talento dovette fare i conti.
Orazio intuì ben presto le doti della figlia e, da buon padre, decise di mandarla a scuola. Chiese perciò al suo amico, Agostino Tassi, maestro della prospettiva, di contribuire ad affinarne il talento. Ignorava, Orazio, il lato oscuro della personalità di Tassi. Artemisia aveva 18 anni quando perse la verginità. Momento che descrisse con queste parole:
Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.
Erano tempi lontani ma solo apparentemente. Allo sverginamento indesiderato si poteva porre rimedio con il matrimonio che Tassi, in effetti, promise. Artemisia continuò a frequentarlo, Orazio attese, fino alla scoperta della verità: Tassi era già coniugato. Ne seguì una lettera al Papa. E successivamente denuncia. E poi ancora un processo dai risvolti drammatici. Tassi negava, come ancora oggi si fa. Era consenziente, Artemisia? Molti testimoni di parte, probabilmente pagati da Tassi, la dipinsero come una donna di facili costumi. Era certo che fosse stata violata?
Subì, Artemisia, tutte le umiliazioni del caso. Le sue parti intime furono a lungo osservate. Fu costretta a sottoporsi a una sorta di terrificante macchina della verità, rispondendo alle domande mentre le venivano stritolate le preziose mani. Non indietreggiò di un millimetro e mai ritrattò. Vinse il processo ma perse comunque. L’uomo che la violentò, nonostante la condanna all’esilio da Roma, non si mosse dalla capitale. E lei, Artemisia, nonostante il verdetto, rimase una sgualdrina per il popolino che aveva morbosamente seguito le varie fasi della vicenda.
Artemisia si sposò comunque. Subito dopo la condanna di Tassi, dietro la spinta del padre, convolò a nozze con un pittore di scarsa fama e lasciò Roma alla volta di Firenze. Alla corte dei Medici, seppe ritagliarsi lo spazio che il suo talento reclamava. Fu la prima donna ad essere ammessa all’Accademia del disegno. Visse il resto della sua vita tra Roma, Venezia, Londra e Napoli, dove morì nel 1653, i suoi resti nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini sotto una lapide con su scritto, semplicemente, “Heic Artemisia”.
Nella foto. “Giuditta che decapita Oloferne” – Artemisia Gentileschi – anno presunto: 1620.
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