L’8 giugno 1986 avevo 26 anni. Ne avrei compiuti 27 solo due mesi dopo. Questa rubrica dove tutti i redattori di Sardegnablogger si alternano, serve per esercitare la memoria. Ma non solo. Quel giorno sono accadute sicuramente moltissime cose , alcune difficili da ricordare. Eppure io, un impegno ce l’avevo. E lo ricordo molto bene. Sono passati trent’anni. Che non sono molti ma neppure pochi. Dipende da quale sedia sei seduto. Ai banchi di scuola quegli anni sono tantissimi, anche quando cominci ad innamorarti di qualcuno quegli anni sembrano irraggiungibili e lontani. Quando sei al lavoro sono il traguardo eterno della pensione. Poi, quando li superi e ti guardi un attimo indietro, ti rendi conto che sono stati troppo veloci. Solo allora ci pensi. Oggi, chi è nato nel 1986 è una ragazza o ragazzo intorno a trent’anni, come cantava Mimmo Locasciulli (e quando la cantava anche io avevo intorno a trent’anni). Nel 1986 io ero ancora un ragazzo molto giovane. Che lavorava (ed ero fortunato) da oltre tre anni e si occupava di cose difficili e complesse nell’isola dell’Asinara. l’8 giugno del 1986 ero, però ad Alghero. Era domenica. Una giornata di giugno, dolce e lunghissima. Di primo mattino – son tutte buone le ore del giorno – nascevano Marco e Claudio, miei figli, che compiono oggi trent’anni. Adesso, che osservo questi ragazzi adulti e più grandi del loro padre quando nacquero, mi viene da sorridere. Perché li ho sempre considerati piccoli, perché è nell’ordine naturale delle cose, perché si è convinti che crescano gli altri intorno ma mai i tuoi figli. Ecco, mi sembra giusto, invece, pensare a questa generazione di trentenni che hanno in tasca gli stessi sogni e gli stessi scazzi che avevamo noi quando la nostra vita girava intorno ai trent’anni. Quando l’8 giugno 1986 nascevano Marco e Claudio mi sentivo un adulto responsabile con il terrore di avere due figli da crescere. Capita a chi gira intorno ai trent’anni. Capita anche che un padre, per quanto “anziano” si ricordi perfettamente dei biberon, dei seggiolini, delle canzoni stonate utilizzate per farli addormentare, della loro felicità davanti alla spiaggia solitaria di Cala d’Arena all’Asinara, dei primi giorni di scuola, del loro esame di maturità, della rabbia per il loro incontenibile vizio di essere sempre in ritardo, delle paure mai raccontate quando hanno acquistato la moto. Insomma, quel maledetto mestiere che si impara piano piano e ti fa rimanere “padre per sempre”. Anche se i tuoi figli hanno intorno a trent’anni. Che non sono pochi e non sono molti. Ma sono. Auguri a Marco, a Claudio e a tutta la generazione di trentenni: guardate alla vita e provate a rallentare, di tanto in tanto.
Che male non fa.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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