Ed è proprio mentre faccio una ricerca sugli eventi dell’8 settembre e rimbalzo indecisa tra la scelta di Jack Lo Squartatore e il mostro di Firenze, che in questa data hanno compiuto entrambi uno dei loro efferati delitti, che scopro l’anniversario dell’entrata in commercio del primo nastro adesivo in cellophane sensibile alla pressione, passato alla storia come scotch. Inizialmente concepito per chiudere pacchi, il rotolino di nastro adesivo si rivelerà assai efficace per innumerevoli utilizzi, che al lato pratico ci hanno facilitato la vita. A me ha rischiato di rovinarmela, invece, per uno stupido e pericoloso modo con cui incautamente ne feci uso quel giorno…
Tanti tanti anni fa, quando ancora insegnavo alla scuola elementare, in occasione di una delle mie prime supplenze in una classe I, ricordo che cercavo di spiegare ai piccoli alunni i concetti topologici: destra e sinistra. Perfettamente inutile, davanti a un’utenza ancora priva delle capacità di astrazione, ripetere “la mano con cui scrivete è la destra” o “la mano con cui tenete le posate” è necessario attingere dal loro vissuto o far ricorso ad oggetti concreti per veicolare alcune conoscenze che poi verranno trasformate in competenze. Con un rotolino di scotch rosso, mentre mi aggiravo frettolosa fra i banchi per regalare un braccialetto che avrebbe dovuto cingere il polso destro, un bimbetto urlante assordava mezza classe.
– Se continui a gridare in quel modo lo scotch, anziché metterlo sul polso destro, te lo sistemo sulla bocca, eh? – gli avevo detto ridendo.
– Sì, dai mae’. Mettimi lo scotch in bocca. Dai , dai! – Aveva risposto tutto contento, trasformando in un gioco quella che, inizialmente, doveva apparire come una minaccia.
Alcuni suoi compagnetti avevano prontamente tolto il nastro adesivo dal polso procedendo autonomamente a un cambio di destinazione d’uso. Qualcun altro urlava divertito: – Mettilo a me, mae’. – E io non me l’ero fatto ripetere due volte, avevo sigillato giocosamente quelle piccole bocche che emettevano strilli di gioia.
Ero tornata alla cattedra decisa a non far durare quello svago improvvisato per più di 5 minuti, ma a un tratto li avevo guardati da lontano e complessivamente. Una visione d’insieme che mi aveva atterrita. Lucidità e forse anche un po’ di lungimiranza avevano preso il sopravvento. Se fosse entrato il Dirigente Scolastico in quel momento cos’avrebbe pensato?
Presa da una frenesia, forse immotivata, ero passata tra i banchi a liberare con impazienza quelle boccucce. E, tra i versi di disapprovazione dei bambini, ai quali toglievo bruscamente uno spasso estemporaneo, già mi figuravo il titolo dell’articolo a caratteri cubitali su tutti i quotidiani dell’indomani: “Maestra imbavaglia gli alunni perché insofferente al loro vociare”. Una carriera stroncata sul nascere.
Un flashback riemerso inaspettatamente che, nella scelta degli eventi relativi all’agenda odierna, ha fatto pendere l’ago della bilancia. Di Jack lo Squartatore ne parlerò un’altra volta, semmai.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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