Avere otto anni e le figurine panini in tasca. Giocare a “creus e crastu” e sperare di vincere per avere la figurina mancante nell’album che, ai miei tempi, era quella di William Vecchi, secondo portiere del Milan, cresciuto all’ombra di Cudicini. Direte: che c’entra Che Guevara? Nulla. A otto anni si pensa a Rivera, a Suarez, a Giggi Riva. Che Guevara è un puntino lontano completamente sconosciuto. Quando il giorno otto del mese di ottobre del 1967 il Che viene catturato, ero in terza elementare con le figurine e le palline in tasca. La mia icona, a quei tempi si chiamava Sandro Mazzola e speravo vincesse la coppa dei campioni con l’Inter. Insomma, io a Che Guevara, nel 1967 mica lo conoscevo. Poi quando ho collegato le mie parole a quelle della ribellione son riuscito ad intercettare quello che, ancora oggi, rappresenta l’icona mondiale di chi lotta per l’indipendenza dei popoli. Ernesto Che Guevara. Il comandante Che. Quello che, insieme a Castro, combatté per l’indipendenza di Cuba, nel 1959; quello che ad Algeri, nel 1965 disse: “ In questa lotta fino alla morte non ci sono frontiere. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a quanto accade in ogni parte del mondo. Una vittoria di qualsiasi nazione contro l’imperialismo è una nostra vittoria, come una sconfitta di qualsiasi nazione è una nostra sconfitta”. Fu allora che mi innamorai perdutamente di questa esaltante follia, la voglia di rincorrere la libertà per tutti i popoli. Fu allora che cominciai a leggere la sua vita, i suoi diari, le biografie ufficiali, quelle più nascoste. Fu allora che quell’uomo, apparentemente fragile divenne ufficialmente il “Che”. Acquistai un grande cartellone bianco, disegnai la sua faccia (quella in bianco e nero) e misi il poster sotto il mio letto, staccando quello di Sandro Mazzola. Fu allora che guardando il Che mi resi conto di essere cresciuto. Non l’ho mai ringraziato abbastanza Ernesto Che Guevara per le cose che fatto e per quello che ha detto. Sembrerebbe che le ultime parole prima di essere ucciso siano state: «Lei è venuto a uccidermi. Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo». Ecco, quell’uomo, per me non è mai morto.L’esercito boliviano non lo ha mai catturato e il giorno otto del mese di ottobre del 1967 non è successo niente perché “il sole del suo coraggio ha posto un confine alla morte e da allora rimane la chiara, penetrante trasparenza della tua cara presenza, Comandante Che Guevara” (Hasta siempre, intillimani)
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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