Quel volo gettato tra l’incredibile e l’emozione. Quel rombo che smise subito di urlare. Quel silenzio che mi avvolse davanti al TG2 una sera tiepida di maggio. Quel batuffolo di uomo che rincorreva il vento e appariva quasi sospeso tra la solitudine e il cielo. Pareva non dovesse mai scendere dopo la curva, quando la rossa andò da una parte e lui verso l’infinito. Non credo di aver amato più un pilota così intensamente dopo Gilles Villeneuve. Non mi potevo permettere di dover restare sul baratro dell’incoscienza a costruire traiettorie impossibili e infinite. Si racconta che Enzo Ferrari, il Drake, aveva capito di che pasta fosse fatto il ragazzo. Troppo veloce, troppo folle. Fuori dagli schemi. Un anarchico della formula uno. Ma lui, il Drake non si accontentava. Voleva andasse più forte quel ragazzo: “Dategli un tempo sbagliato. Qualche secondo in più. Vedrete, andrà più veloce”. Perché Gilles non doveva diventare campione del mondo. Quelle cose sono per le persone calcolatrici e perfette. Lui, il Gilles, aveva nell’anima solo la gara secca e completamente inutile. Vincere perché era il più veloce e il più bravo. Capace di fare andare la sua Ferrari con tre ruote. Fuggito da chissà quale paradiso per ritrovarsi sulla terra a giocare con gli uomini. Ma non era il tempo e non era il luogo. Era nato per volare. Per ritornare con gli angeli. Dio, quella follia dolcissima di Gilles Villeneuve ancora ci assale. Era il 1982: 8 maggio. Quella curva impastò polvere e silenzio. Passano gli eroi a pettinare il cielo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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