Se passate da quelle parti vi renderete conto che il silenzio ha un peso. E il rumore è solo quello di un vento che non c’è, in una collina sbiadita e ormai patrimonio storico dell’UNESCO. Se andate da quelle parti provate a chiudere gli occhi e immaginare cosa possa essere successo la mattina dell’8 agosto 1956, in quella miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle, in Belgio. Sentirete il sospiro di 262 uomini (si salvarono solo in tredici) che, a seguito di un incendio, causato dalla combustione di olio ad alta pressione, si riempì di fumo il pozzo minierario. Morirono di asfissia, senza poter provare una minima via di fuga. Erano italiani, portoghesi, spagnoli, turchi. Erano migranti. Gli stessi che oggi, con la stessa valigia di disperazione, si presentano al cospetto del nostro paese che è molto bravo a dimenticare e a nascondere i propri ricordi. Passateci a Marcinelle. Ne vale la pena. Si comprendono molte cose. Si comprende che l’emigrazione è stato un fenomeno che ha riguardato tutti, che gli emigranti sono sempre costretti a svolgere i lavori che gli indigeni non amano e la sofferenza è sempre figlia di tribolazioni inenarrabili. Se passate da quelle parti vi rendeterete conto quanto è crudele prendersela con chi attraversa il mondo alla ricerca di un’opportunità e quanto è difficile sopravvivere nel mondo opulento degli altri. Marcinelle siamo noi. Sono anche i nostri emigranti. E non è passato troppo tempo. Appena cinquantanove anni. Passateci a Marcinelle e provate a riflettere. Servirà. Ne sono profondamente convinto.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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