La macchina del tempo oggi fa un giro in una dimensione parallela e ci porta al giorno 8 marzo 1908 e poi, con un altro salto indietro, al giorno 8 marzo 415. La prima data è quella dell’incendio in una fabbrica di camicie di New York, in cui morirono 129 operaie. La tradizione vuole che per commemorare le vittime di questa strage venisse istituita la Giornata della Donna. La seconda data è quella della morte di Ipazia di Alessandria, matematica, astronoma e filosofa neoplatonica, massacrata da un branco di cristiani fanatici, seguaci del vescovo della città, Cirillo.
I due fatti hanno in comune una cosa: in un certo senso, entrambi non sono reali. Il 25 marzo 1911, la fabbrica di camicie Triangle, a New York, fu teatro di una strage di operai immigrati, in gran parte donne. Per una serie di circostanze, nella seconda metà del Novecento prese piede la notizia di un incendio analogo avvenuto però il giorno 8 di marzo, sempre in una fabbrica di abbigliamento e sempre a New York. Incendio che in realtà non è mai avvenuto ma che per molti è il punto da cui ha preso origine la Giornata della donna.
Di Ipazia invece sappiamo che venne uccisa e fatta a pezzi da un’orda di cristiani (forse monaci) entrati ad Alessandria d’Egitto per dare manforte al vescovo-despota Cirillo. Non abbiamo opere di questa pensatrice, solo notizie dai suoi contemporanei e dagli studiosi che la tennero come punto di riferimento all’interno della tradizione neoplatonica. Si trattò comunque di una figura eccezionale, una donna erudita in grado di calamitare la stima e il rispetto di alcuni studiosi e vescovi cristiani, e l’odio brutale di altri che la massacrarono, probabilmente anche per spegnerne la voce. Tuttavia, quanto all’anno esatto della morte, per non parlare del giorno, l’incertezza è massima.
E mi piace, oggi, accostare 8.3.1908 e 8.3.415, due date per molti aspetti campate in aria, eppure così cariche di simbolismo e così capaci di affermare sé stesse per come risultano, a prescindere dalla realtà, piene di significati. Date che nascono più dal desiderio e dal bisogno di simboli che dalla concretezza di eventi reali.
Un po’ come la mimosa, fiore-simbolo del rispetto e dell’amore di cui le donne sono destinatarie ogni 8 marzo da molti anni a questa parte, ma che in realtà è il fiore dell’acacia, mentre la vera mimosa è una tipo di pianta piuttosto diversa. Acacie, dunque, da non confondere con l’Acacia da cui le api fanno il miele, che in realtà non è un’Acacia ma una Robinia, chè se non creasse ulteriore confusione, potremmo anche parlare di ginepraio.
Insomma, credo che la cosa si possa sintetizzare così: gli uomini –e chi sennò?- che per secoli hanno occupato cariche pubbliche, nicchie culturali, cattedre universitarie, ponendosi di fatto come i detentori della cultura, del sapere, del culto, della musica, della scienza e della storia, lasciando alle donne uno spazio ridicolo, dicevo, gli uomini, quando intervengono su questioni femminili, sebbene animati dalle migliori intenzioni, fanno danno.
Nonostante questo, continueremo a rievocare l’incendio dell’8.3.1908, a sobbalzare scoprendo che Ipazia venne trucidata l’8.3.415, e continueremo a regalare acacie convinti di regalare mimose.
Tanto domani è 9, e si torna a comandare.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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