Per chi non molla e continua a sentire un formicolio nella parte Sinistra di sé, questo primo scorcio di millennio somiglia sempre più a un incubo. Negli incubi, che sono pur sempre sogni, se qualcosa emerge dall’impasto finisce per dare un volto a quello che si è provato. Nell’incubo che stiamo vivendo, per me la faccia di Trump batte tutto e tutti. Batte la vittoria di Bolsonaro in Brasile, il venire a galla dei neonazi e l’incarognirsi del clima attorno agli immigrati. Supera perfino l’impunità sfacciata dei Sauditi e il progressivo incattivirsi dell’Esercito Israeliano. Addirittura peggio del nostro disinvolto passare da Berlusconi a Salvini, riuscendo al massimo a rispondere al fuoco con Monti e Renzi.
Le elezioni che premiarono The Donald si tennero esattamente due anni fa: 8 novembre 2016.
Da allora è stato come trovarsi sull’autoscontro quando a te finisce il gettone ma attorno tutti continuano a guidare come matti e a venirti addosso, e tu non hai nessuna possibilità di reagire, di scendere dalla macchina o di fermare la giostra. E più prendi colpi, più la musica pompa, più ti sembra che gli altri siano carichi di gettoni e più inizi a sospettare che non finirà tanto presto.
A voler essere ottimisti, diciamo così, ci sarebbero piccoli segnali a cui attaccarsi, come le prime zanzare che annunciano la terraferma alla fine di una traversata oceanica: Corbyn, Sanders, Warren, Varoufakis, Sanchez/Podemos. O anche, tra le cose di casa nostra, Jacobin, versione italica della rivista della sinistra radicale americana, di imminente uscita. Tutte notizie buone, a patto di avere ancora un po’ la voglia di essere radicali.
C’è un problema, però: il mondo calduccio e vischioso a cui ci siamo affezionati, sembra premiare le posizioni radicali solo se espresse a destra. Pare che tutto congiuri per smorzare ciò che a sinistra fa il tentativo di sorgere. Questa almeno è l’aria che tira dalle nostre parti, dove al non rassicurante esperimento gialloverde riusciamo a contrapporre solo l’ennesimo rimescolamento di quadri PD. E altrove non credo vada meglio.
Mark Fisher amava ripetere che “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del Capitalismo”. Prendeva atto, nel dirlo, di quanto avesse attecchito nella società occidentale l’idea thatcheriana che “non c’è alternativa al sistema esistente”. Questo sentirsi condannati al buon senso, questo ridurre “ideologia” a “fanatismo”, “utopia” a “inutile illusione”, “giustizia sociale” a “conto della serva” è il capolavoro dell’unica parte rimasta in piedi dopo il 1989.
Lo slogan di Renzi, un attimo prima che calasse il silenzio elettorale lo scorso 3 marzo, sintetizzò così l’esortazione al voto per i propri elettori: “Mai con gli Anti-Sistema”.
Io credo che sia successo proprio quello che lui auspicava. Infatti Lega e 5Stelle sono in fondo funzionali allo stesso Sistema che la Sinistra ha provato a governare negli ultimi 3 decenni. Sistema nel quale è finita stritolata e svuotata. Il punto è che quel Sistema che abbiamo cercato di difendere, in realtà sceglie di volta in volta da chi e come farsi difendere.
E tra tutti i nuovi difensori di quel Sistema, tra i vari Salvini, Orban, Bannon, Le Pen, il più inquietante continua a sembrarmi Trump.
La speranza, a questo punto, è di provare ancora spavento per le mostruosità di quel Sistema che abbiamo preferito immaginare addomesticabile. E di avere ancora fantasia sufficiente a immaginare, almeno immaginare, il superamento del Capitalismo senza finire fuori strada, persi tra scene da fine del Mondo.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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