Se si hanno parole e fantasia una storia del genere bisogna obbligatoriamente scriverla. Perché non è vera. Perché è una leggenda e, come tutte le leggende, è bellissima. Immaginate il vecchio West, quello di Buffalo Bill, di Kit Carson, quello del Grand Canyon e dei saloon; della polvere che cammina lenta su ogni inquadratura. Immaginate il sole che spacca le pietre di Yuma e immaginate il vento. Devi essere molto cattivo per campare bene da quelle parti e devi avere un nome. Devi saper usare le pistole ed essere veloce. Non si vive di filosofia da quelle parti. Se ti chiami Robert Leroy Parker non sei nessuno ma se ti chiamano Butch Cassidy significa che hai un nome, un nome adatto per essere ricordato. Se poi costruisci anche il Mucchio selvaggio, la banda di fuorilegge cui facevano parte George e Kid Curry, Lonny Logan e Ben Kilpatrick, capisci che non puoi fallire. Una banda che si chiama mucchio selvaggio può solo creare problemi. Ti specializzi in rapine e non le conti, cavalchi di notte e respiri tutta la polvere dei canyon, arrivi nei luoghi più desolati e desolanti da Sacramento a Santa Fe, passando per Abilene, spendendo i dollari alle carte e con le donne. Sei un criminale e ti adegui. Pistole, polvere e sesso a pagamento. Questa è la vita. Se poi, con il mucchio selvaggio scorazzi per l’Argentina e nella Bolivia e rapini le paghe destinate ai minatori di una miniera d’argento, allora lo capisci che il tuo destino è segnato. Che non bastano le buone intenzioni per salvarti dalla muta di cani e di gente incarognita perché gli hai levato i soldi del lavoro. Non si fa. Neppure nei film migliori riesci a sopravvivere. Neppure se ti chiami Butch Cassidy ce la puoi fare. Quando arrivi, il 7 novembre del 1908 a San Vincente e ti guardi intorno, capisci che quel silenzio non è buono, capisci che puzzi di carogna, sai benissimo che l’orizzonte non lo vedi. E quando senti la cavalleria arrivare, il rumore degli zoccoli, il sudore degli inseguitori, capisci che è finita. Anche se spari lo sai che non serve, lo sai che rimarrai ucciso. A San Vincente, un lurido posto che sarà ben presto dimenticato. Però, se fosse storia non l’avremmo raccontata. Invece la leggenda dice altro. Che tutto questo fosse solo una messa in scena per depistare gli inseguitori. Molti hanno raccontato di aver visto Butch Cassidy dopo quel 7 novembre. Qualcuno racconta, addirittura, di aver bevuto e mangiato una torta di mele con lui. Ed erano passati molti anni. Pare sia morto addirittura nel 1937. Questa storia non c’è mai stata e Butch non è morto il 7 novembre del 1908. Bisogna inventarsele queste storie. Servono per sorridere alla vita e immaginare che quella torta, davanti ad una birra e una montagna di patatine il buon Butch se l’è mangiata con Tex Willer, prima di un duello finale, tra Abilene e l’inferno. Chissà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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