Oggi, 7 gennaio 2018, sono quarant’anni dalla strage dell’Acca Larentia. Millenovecentosettantotto, l’anno di piombo tra gli anni di piombo, anni in cui le vite valevano poco e venivano sacrificate in nome di assurde rivendicazioni ideologiche, anni in cui molti giovani si convinsero di poter sostituire alla politica la violenza, tante volte sorretti da voci autorevoli della cultura che puntualizzavano la loro equidistanza tra Stato e terrorismo.
Di questo clima di follia contagiosa rimasero vittime tre giovani di diciotto, diciannove e vent’anni. Si chiamavano Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni, il primo studente liceale e gli altri due universitari, tutti e tre militanti del Fronte della Gioventù, il vivaio del Movimento sociale italiano. Ciavatta e Bigonzetti furono falciati dalla raffica di una mitraglietta Skorpion sparata da un terrorista rimasto impunito, Recchioni venne centrato alla testa dal proiettile esploso dalla pistola di un carabiniere, Eduardo Sivori, chiamato in servizio quando, qualche ora dopo, la destra romana scese in piazza per urlare tutta la propria rabbia contro quella pazzia sanguinaria.
Era uno schieramento di destra molto ampio, quella scesa in piazza davanti alla sede del Movimento sociale italiano di via Acca Larentia, con le pozze di sangue di Ciavatta e Bigonzetti ancora sull’asfalto: andava dal segretario giovanile Gianfranco Fini alla futura terrorista del Nar Francesca Mambro, oggi all’ergastolo per la strage della stazione di Bologna.
Si disse che quell’attentato avesse provocato la frattura della destra: una, quella istituzionale di Fini, al fianco dello Stato e dei suoi apparati, venne abbandonata dalla destra di personaggi che, come la Mambro, decisero di passare alla lotta armata, contribuendo grandemente al caos di quegli anni.
Per i giovani che non ne avessero mai sentito parlare, riporto il testo della rivendicazione registrata in una cassetta audio da un membro dei Nuclei armati per il Contropotere territoriale: un concentrato di disprezzo per la vita umana racchiuso in un linguaggio ridicolo e feroce: “Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi”. Non pagò nessuno per le morti di Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni. Ma la mitraglietta cecoslovacca Skorpion, strumento di morte molto comune tra i terroristi, sparò ancora per un altro decennio: la stessa arma usata all’Acca Larentia uccise nel 1985 l’economista Enzo Tarantelli, nel 1986 l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e nel 1988 il senatore democristiano Roberto Ruffilli. Se il carabiniere Sivori venne scagionato subito, le indagini sull’attentato ebbero un improvviso sussulto un decennio dopo: nel 1988, tre esponenti di Lotta Continua vennero infatti incriminati per la strage, ma poi assolti in primo grado. Un’assoluzione giunta troppo tardi per Mario Scrocca, uno degli accusati, impiccatosi in cella il giorno dopo l’arresto. Forse Scrocca andrebbe considerato la quarta vittima della strage. Se solo quel tempo assurdo sapesse accomunarci tutti nel rifiuto della violenza, anziché suscitare ancora distinguo e contrapposizioni irrispettose per la stessa memoria di chi ha pagato con la vita.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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