Non ho mai ben capito se lo spettacolo scintillante di quel 7 febbraio 1497, in Piazza della Signoria, sia stato il trionfo della repressione violenta e reazionaria orchestrata da un fanatico o, piuttosto, un genuino desiderio di liberarsi del superfluo per tornare all’essenziale, quella voglia prepotente e distruttrice che ci prende almeno una volta nella vita, quando improvvisamente ci accorgiamo di avere davvero troppo, rispetto al necessario, e quel troppo ci rende schiavi. Comunque, quel 7 febbraio del 1497 i seguaci del frate Girolamo Savonarola ammonticchiarono nella piazza fiorentina centinaia di dipinti, libri, specchi, strumenti di bellezza e altri generi che chiameremmo voluttuari e, quando la catasta fu bella imponente, le diedero fuoco. Passerà alla storia come il Falò della Vanità, il momento di massimo potere di Savonarola in una Firenze rinascimentale che aveva appena cacciato quel che restava della forza dei Medici. Dicono che lo stesso Botticelli, irretito dal frate, avesse portato alcuni suoi dipinti e plaudito al loro incenerimento pubblico. Però quel predicatore di Ferrara, con le sue feroci requisitorie, si era messo contro tutto il potere costituito, ad iniziare dal Papa, nonché buona parte dell’economia della città, i cui negozi lui vedeva come fattore di smarrimento e perversione. Cercarono di metterlo a tacere con una nomina a cardinale, ma lui non la volle. Allora lo bruciarono in piazza, il 23 maggio del 1498, come si usava al tempo con gli scocciatori.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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