Oggi avevo l’imbarazzo della scelta. Tra gli argomenti per scrivere l’agenda del giorno c’erano l’adozione del metro da parte della Francia e, stando a quanto racconta Giovanni l’Evangelista, la morte di Gesù. Invece, come da titolo, voglio parlare di Dante.Che esattamente 716 anni fa, smarrisce la diritta via e inizia a vagare per la selva oscura.
Ma posso parlarne solo con la voce del profano innamorato, dello zotico che si accosta alla bellezza e ne rimane folgorato a vita, pur senza smettere di essere zotico.
Io Dante, al liceo, lo odiavo.
Odiavo la professoressa che non riusciva a trasmetterci quasi nulla, e odiavo quella metrica rigida, quel linguaggio astruso e lontano, la quantità abnorme di parole contenute nella Commedia.
Poi, forse una ventina di anni fa, ho sentito Dante raccontato da Benigni. Ora, di Benigni e della sua parabola possiamo pensare quello che vogliamo. Però secondo me, aver portato Dante in prima serata, prima con Paolo e Francesca, poi con l’ultimo del Paradiso, poi con le serate in Santa Croce, è stata una delle operazioni culturali meglio riuscite degli ultimi decenni, uno dei momenti in cui la televisione di massa ha toccato le vette più alte.
Sempre con voce di zotico, sento di dire che una capacità di scrittura così poderosa, una fantasia così alta (“l’alta fantasia” cui sul più bello “mancò possa”), un ribollire di immagini così cangiante, non si trova in nessun altro scrittore di nessun tempo.
E poi c’è l’endecasillabo. Non ricordo se Ungaretti o Montale (vi ricordo che sono uno zotico) ritenevano l’endecasillabo “il respiro naturale della lingua italiana”. Fate la prova. Una marea di slogan, titoli azzeccati, filastrocche, frasi celebri, modi di dire, sono costruiti secondo la geometria frattale dell’endecasillabo.
Chi troppo in alto sal cade sovente
Ridere, ridere, ridere ancora
Dormi sepolto in un campo di grano
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
Più lo mandi giù e più ti tira su
Respiri piano per non far rumore
Eccetera.
Io due volte mi sono misurato con gli endecasillabi.
Scrivendoli, intendo.
La prima per una poesia cazzona dedicata a un amico che si laureava.
La seconda per un piccolo poema intitolato l’Ischerzo. Endecasillabi in terzine a rima incatenata: ABABCBCDC ecc.
Al di là di questo, ricordo quanto mi fece bene Dante e quanto mi fece bene giocare con la sua arte. Scherzare con tutta quella poesia che per gioco, per ridere, veniva fuori da quelle combinazioni di parole irrispettose e sfrontate. Erano i giorni che mia madre se ne andava. Quel po’ di bellezza in più forse non mi salvò la vita, ma me la rese meno oscura.,
Ricordo che ero in macchina sul porto, andavo a Olbia a prendere mia sorella che rientrava per il funerale. Mi venne in mente allora: prendere una fetta di quercia o di ginepro e depositarla accanto alla sua foto, dopo averci inciso sopra l’ultima quartina, quella del genio che si arrende di fronte all’inarrivabilità della bellezza, della vita e del senso di questo continuo finire e ricominciare:
A l’alta fantasia qui mancò possa
ma già volgeva il mio desio e ‘l velle
sì come rota ch’igualmente è mossa
l’Amor che move il sole e l’altre stelle.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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