Il 6 novembre del 1975 riuscii a vedere quello che considero il film della mia adolescenza, il film che mi ha regalato botte di adrenalina incredibili, passione e terrore, voglia di capire e curiosità nella ricerca della verità mista a terribile paura: parlo di “Profondo rosso”. Un film che credo abbiano visto tutti quelli della mia generazione. Dal 1975 ad oggi l’avrò rivisto almeno una trentina di volte e sempre mi affascina la costruzione perfetta della scenografia, della trama, di una sceneggiatura che regala momenti sublimi. Profondo rosso è, nel suo genere, un film perfetto. Dario Argento dimostrò bravura, maestria, amore per il complotto, cominciò a dubitare che anche in famiglia potessero accadere cose “bruttissime”, rivelò al mondo che la verità non è sempre quella che appare ma quella che la gente vuole si “veda” e quando ci troviamo davanti e ci appare allo specchio noi, stupidamente, non ce ne rendiamo conto. La trama non la voglio riproporre perché è ben conosciuta. Ci sono però passaggi ben disegnati che rimangono ben fermi nella memoria: la leggenda della villa del bambino urlante, la scoperta del disegno sotto l’intonaco della parete dove è chiaro, fin da subito, chi è l’assassino. Ma noi presi come siamo dai giochi del regista percorriamo strade diverse, continuiamo a seguire le tracce di chi, invece, è solo un attore non protagonista del terribile omicidio che permette al serial killer di continuare ad uccidere. Poi, il gran finale, quando il pianista inglese Marc Daly, investigatore per caso riuscirà, attraverso lo specchio, a scoprire la verità. Avevo 16 anni e profondo Rosso mi segnò: divenne il mio film culto per anni: la musica dei Goblin, la musichetta che arrivava prima di ogni omicidio, il palazzo maledetto, la ricerca della soluzione attraverso passaggi apparentemente “folli”. Oggi ho il film in VHS, in DVD e sul computer. Ne rivedo di tanto in tanto alcune scene e, come sempre, mi sorprende nella sua freschezza, durezza, nella sua mirabile bellezza. Profondo rosso rappresenta un gioco interiore e ci ricorda che la verità va sempre analizzata attraverso lo specchio e regala sempre molte sfaccettature. Ultima considerazione: la data 6 novembre 1975 è vera in quanto segnata nel mio diario di scuola che ancora sopravvive nelle casse dei ricordi in garage, dove oltre al titolo del film avevo annotato: “visto con Antonio e Giampiero. Film terribilmente bello”. Non ho cambiato idea. Quando si dice la coerenza.
Giampaolo Cassitta
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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