È possibile rubare un aereo militare e atterrare clandestinamente in un altro Stato? Se la vostra risposta è no, ricredetevi: esattamente quarant’anni fa è successo veramente. Il 6 settembre del 1976 Viktor Belenko, di origine ucraina, aveva appena 29 anni e tutta una carriera davanti: pilota militare dell’aeronautica sovietica, aveva raggiunto il grado tenente e assaporava già la promozione a capitano. Eppure non era felice. Si era appena separato dalla moglie e al travaglio sentimentale si aggiungeva quello professionale, poiché lo avevano sbattuto nella più estrema delle periferie dell’impero russo, la base di Vladivostok ai confini tra Cina e Corea. Ad ogni modo, il 6 settembre Belenko volava in formazione sul suo monumentale Mig 25, gigantesco intercettore ed orgoglio dell’aviazione comunista. La squadriglia ronzava nelle acque territoriali russe del Mar del Giappone, per una ordinaria ricognizione, quando il Mig pilotato dal nostro Belenko scese in picchiata fino a sfiorare il pelo dell’acqua. Gli altri piloti pensarono ad un’avaria e lo lasciarono al suo destino, ma il Mig di Belenko non aveva accusato alcun guasto. Semplicemente, il tenente volava verso un’altra vita. Sfrecciando a soli cinquanta metri di quota, l’apparecchio russo sfuggì ai radar nipponici e poté raggiungere il Paese del Sol Levante senza essere intercettato. A quel punto Belenko non poteva andare tanto per il sottile e posò il suo aereo sullo scalo più vicino, quello di Hakodate, nell’isola di Hokkaido. L’atterraggio fu brusco e il Mig proseguì la sua corsa oltre la pista, abbattendo le recinzioni. Venne circondato dalla sicurezza dell’aeroporto, cui l’esagitato ufficiale si presentò rimanendo in piedi sulla cabina di pilotaggio e sparando qualche colpo di pistola in aria. Consegnò poi un biglietto in inglese agli agenti giapponesi, che capirono subito dove Belenko volesse andare a parare: fuggiva dal suo paese e voleva l’asilo politico. L’aereo e il prezioso manuale di pilotaggio finirono nelle mani degli americani. Questi lo smontarono pezzo per pezzo, tutti eccitati all’idea di carpire i segreti di quella che la pomposa propaganda sovietica spacciava come un’invincibile arma dei cieli. Il Mig di Belenko aveva solo sei mesi di vita, ma deluse assai i tecnici che lo vivisezionarono: una discreta macchina da guerra, nulla più. L’aviazione russa fu tuttavia costretta a modificare radicalmente l’aereo, i cui segreti erano ormai stati violati dal nemico appostato oltre la cortina di ferro. E Belenko? Trovò ovviamente rifugio negli Stati Uniti, visto che l’Urss lo aveva condannato a morte in contumacia per alto tradimento. Oggi ha 69 anni, collabora con l’aviazione americana e pare abbia vissuto una vita felice.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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