Dr. Jonas Salk's polio vaccine is shown in April, 1955. (AP Photo)
L’argomento vaccini da un po’ di tempo a questa parte è diventato nevralgico e divide la popolazione in favorevoli e contrari, ma, che apparteniate all’una o all’altra categoria, ad Albert Bruce Sabin va riconosciuto un merito indiscutibile: la poliomielite, grazie a lui, è stata debellata. Mi correggo, grazie anche a lui. Infatti si contende il primato con un altro collega, il dottor Jonas Edward Salk.
Ma torniamo indietro fino ai primi del Novecento quando le epidemie di poliomielite si ripetevano a intervalli sempre più ravvicinati e con esiti sempre più fatali. Si raggiunsero cifre, verso gli anni ’50, che in campo medico decretarono la ricerca di un vaccino come assoluta priorità. Ed è in questo scenario di paralisi, polmoni d’acciaio e decessi che Salk mise a punto il suo nuovo vaccino antipolio, nato sulla traccia di quello dell’influenza, che consisteva nell’utilizzo di un virus inattivato, anziché attenuato. Una procedura che garantiva indubbiamente maggiore sicurezza: infatti si bypassava il corso della malattia in forma lieve e si passava direttamente alla stimolazione degli anticorpi. In brevissimo tempo il vaccino Salk viene distribuito e adottato in gran parte del mondo. Le epidemie soggiacciono a una rassicurante diminuzione.
Ma poi, nell’aprile del ’55, si verificò quello che venne battezzato come “l’incidente Cutter”, una spaventosa sciagura farmaceutica: nel mulinello del commercio finì un lotto di vaccini contaminati da un virus vivo, che causò migliaia di nuovi contagi e decessi.
Fu allora che per Albert Bruce Sabin si aprì più di uno spiraglio di speranza. Il suo vaccino già messo a punto, a differenza di quello Salk, prevedeva l’inoculazione per via intramuscolare del virus vivo, ma attenuato. Negli Usa, però, incombeva l’ombra pesante della popolarità del predecessore e il vaccino Sabin non trovò consenso facile. La prima nazione a fornire a Sabin l’opportunità di una produzione del vaccino su base industriale fu la Cecoslovacchia, seguita a ruota dalla Polonia, Urss e Germania dove non si verificò più alcun caso di poliomielite. Il muro di diffidenza era stato abbattuto: furono prodotti e immessi sul mercato notevoli quantitativi del vaccino Sabin e anche gli Usa dovettero arrendersi all’evidenza. Per Albert Bruce Sabin fu la svolta: il riconoscimento mondiale alla sua scoperta.
Oggi si dibatte sulla necessità di somministrare obbligatoriamente un vaccino, comunque rischioso perché alterato con formaldeide, in un paese dove la poliomielite è stata completamente eradicata.
Per un genitore è certo un dubbio lecito, ma che ha un senso se si ragiona sul singolo caso. I pochissimi bimbi non vaccinati corrono un remoto rischio di ammalarsi perché inseriti in un contesto sociale di coetanei che, invece, vaccinati lo sono. Ma bisogna considerare che la protezione dal virus diminuisce con l’aumentare del numero dei non vaccinati.
Oggi la poliomielite è ancora endemica in Pakistan e in Afghanistan. Le persone si spostano e i virus anche. In più di un’occasione abbiamo assistito a recrudescenze epidemiologiche che sembravano improbabili. Insomma, io non so se sia una scelta intelligente quella di rischiare di contrarre una patologia per difendersi dal suo vaccino.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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