A giudicare da quello che si legge qua e là, i terremoti in Italia sembrano una novità, una sorpresa improvvisa. Punizione divina per le perversioni di oggi, oppure il risultato di oscure operazioni scientifiche sotterranee, nei confronti delle quali impallidiscono anche le scie chimiche. Quello che mi ha colpito di questo disastroso terremoto calabrese del 1659 che ha provocato oltre 2000 morti, e di cui ricorre l’anniversario, non è solo la drammaticità dell’evento, ma il fatto che, negli anni, i terremoti si sono ripetuti con drammatica puntualità. Scorrendo l’elenco storico dei terremoti italiani, ci si rende conto ti quanto, infatti, l’evento sia frequente. L’Italia è il paese d’Europa e del Mediterraneo più colpito da questo fenomeno. Sono infatti 500 i terremoti distruttivi di cui si ha memoria in Italia. Cinquecento. Per restare solo in Calabria, tra i terremoti più devastanti, si ricorda quello di Nicastro, del 1638, che provocò 10 mila morti, poi quello dello Stretto di Messina che provocò, nel 1738, oltre 50 mila morti. Lo Stretto di Messina, dove vorrebbero costruirci il ponte sospeso, è una delle zone a maggior rischio sismico del pianeta. Nel 1908 ci fu il più drammatico terremoto della storia d’Italia, in quella zona, con 120 mila morti circa. Per stare in zona, si ricorderà il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata, del 1980, che causò 3 mila morti. Ma quella è una zona dove, periodicamente, il terremoto causa danni e vittime. I terremoti si susseguono, in Irpinia, a distanza di pochi decenni. Nel 1857 si ricorda un terremoto nella zona di Montemurro che provocò 12 mila morti. Lo stesso si può dire dell’Abruzzo. Il recente terremoto aquilano non è certo una eccezione. Anche qui i terremoti si susseguirono a breve scadenze. Ci sono stati terremoti nella zona nel 1950 e nel 1957. Nel 1915, per esempio, ad Avezzano ci fu un terremoto che provocò una strage, con oltre 30 mila morti. Anche il terremoto di questi giorni, in Umbria, ha dei precedenti, anche recenti. Nel 1997 uccise 11 persone causando la distruzione di opere d’arte di immenso valore; nel 1984 un terremoto distrusse mezza Gubbio, mentre nel 1979 danneggiò il centro storico di Norcia, oggi tra i luoghi più colpiti dal sisma. Ma allora perché, ancora oggi, nonostante la “normalità” di questi eventi, si cerca una causa “odierna”? Come è possibile che la memoria dei contemporanei dimentichi non solo i fatti della storia, ma anche quelli accaduti nel corso della propria vita? Ci siamo già dimenticati del Friuli, dell’Irpinia, dell’Abruzzo? Eppure sono stati terremoti devastanti, disastrosi, accaduti piuttosto di recente. Temo che, dietro questo atteggiamento, ci sia non solo la naturale ricerca di un colpevole, il desiderio di identificare, mediante la colpevolizzazione, un qualcuno su cui scaricare la rabbia, ma anche, temo, una perdita dell’importanza della memoria. La storia, la memoria, non hanno molto valore, oggi. E’ un processo culturale, a mio parere, voluto. Politico. La storia insegna troppe cose, e fa capire troppo. Non bisogna capire troppo. La gente non deve diventare troppo cosciente. Per fare un esempio tra tutti: mai mettere in connessione il colonialismo, lo sfruttamento degli altri popoli da parte dell’Europa, con l’immigrazione. Ecco perché dopo pochi giorni, ci siamo già dimenticati del disastro, del dramma. Perché non siamo educati a ricordare. Si preferisce sparare motivazioni contingenti, per dare una ragione a fatti che, invece, nella storia si ripetono in continuazione. L’Italia non è l’unico posto dove la storia viene relegata in secondo piano. Ma certamente è il luogo, galleggiando in una zolla geologica instabile per natura, dove la storia dovrebbe insegnare, meglio che altrove, a non diventare solo bravi nell’emergenza ma, al contrario, anche nella prevenzione. L’Italia non è il Giappone, o la California, dove si possono costruire casette antisismiche tutte uguali. L’Italia vive della sua cultura e della bellezza, e i centri storici dei paesi ne sono parte integrante, e vanno giustamente conservati. Ma dato che l’Italia è il paese a cui non manca certamente la tecnologia, potrebbe tranquillamente investire nell’ingegneria antisismica proprio in queste situazioni critiche, nei centri storici, e magari esportarla poi in altri paesi. Si potrebbe incentivare questo settore e rilanciare l’economia edile che langue. Solo che, sul piano economico e politico, si preferisce puntare sulle grandi opere, il ponte sullo stretto, la Tav, che garantiscono un giro di affari “concentrato” ed un ritorno di immagine maggiore. Passato un terremoto, finito il giro degli affari della ricostruzione e la passerella di politici e burocrati alla luce delle telecamere, tutto si dimentica. E riescono a farlo dimenticare anche a noi.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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