Una volta i giornali erano importanti ed era bello leggerli con una certa attenzione. Loro erano “la notizia” e, in qualche modo, dovevamo crederci. I titoli di Repubblica, nel 1979, erano sempre a “nove colonne” e in prima pagina non vi era neppure una fotografia. Il giornale invitava a “leggere” più che a guardare. Me ne sono reso conto stamattina, quando stavo cercando nel mio garage-archivio un libro e mi sono imbattuto in una mazzetta di quotidiani vecchissimi: quasi tutti del 1978 e 1979. Mi hanno colpito quelli relativi al rapimento di Moro e ha attratto la mia attenzione anche quello del 21 marzo del 1979 quando il “divo” Giulio Andreotti presentava il suo quinto governo. Mi ha colpito la schiettezza del titolo e la chiarezza di esposizione dell’occhiello. Repubblica, a quei tempi, prendeva posizione. Era di parte. Un po’ come “il manifesto” del compianto Parlato. Una volta, i giornali raccontavano e dicevano subito da che parte stavano. Il 21 marzo del 1979 Repubblica non stava con Andreotti e il titolo era eloquente: “Un bruttissimo governo e il fondo, l’editoriale di spalla di Fausto De Luca aggiungeva: “Hanno fatto un tuffo nel passato”. Tenete presente che eravamo dentro gli anni di piombo, Moro era stato ucciso da meno di un anno, Pertini poco ci poteva fare. A scorrere quei nomi mi lascia perplesso una cosa: non tanto gli uomini, quanto i ministeri. C’era ancora quello delle Poste e delle telecomunicazioni. dell’industria, della pubblica istruzione. Era un tricolore (si diceva così, una volta) Dc Psdi e Pri: c’erano, tra gli altri, Ugo La Malfa, Forlani, Malfatti, Spadolini, Colombo e Nicolazzi. Nomi antichi di partiti ormai scomparsi. Così come è scomparso Giulio Andreotti morto all’età di 96 anni proprio il 6 maggio del 2013. Una volta i giornali scrivevano fitto e Repubblica aveva la forza di titolare “un bruttissimo governo”. Sono cambiate molte cose, Repubblica compresa (e non solo il quotidiano romano).
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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