Ci sono momenti che diventano indimenticabili e indelebili. Ritornano quasi come una magnifica ossessione e riportano il ricordo a quello che eravamo, a come pensavamo, come girava proprio in quel momento la nostra vita. Noodles che si nasconde in una fumeria d’oppio e sorride senza apparenti pensieri mentre un telefono squilla ossessivamente è uno dei ricordi più vividi che ho quando parliamo di cinema. Si tratta della scena iniziale e finale del lunghissimo film “C’era una volta in America”, diretto da un magistrale Sergio Leone e interpretato da un altrettanto grandissimo Robert De Niro. Il 6 luglio del 1984 il film, dopo essere stato proiettato prima in Canada, Francia e USA, esce in Italia. Andai a vederlo a settembre, quando venne proiettato ad Alghero, nell’allora cinema Ariston e fu una folgorazione. Quel film, quello sguardo di Robert De Niro, quel telefono che squilla fa parte ormai, da molto tempo, della mia vita. Quando io Luigi e Paolo lavorammo per la sceneggiatura di un film sull’Asinara (sceneggiatura ancora inedita) giocammo su molte citazioni dotte da nascondere all’interno dell’ipotetico lungometraggio dove Luigi sarebbe stato (e continua virtualmente ad esserlo) il regista. Mi sarebbe piaciuto che quel film cominciasse con un telefono che squilla in una diramazione dell’isola, perché C’era una volta in America è semplicemente un film perfetto costruito da un regista che ha giocato, come ricorda Morandini “nello spazio incantato della memoria”. Quel giorno di settembre uscii dall’Ariston con una certezza: dopo Apocalypse Now, questo era il film che riusciva a raccontare l’America, quella lontana, dall’altra parte della luna. Quell’America esagerata, cattiva, sottile, plumbea, quell’America che solo Sergio Leone ha saputo “italianizzare”. Quel telefono che squilla all’infinito è, forse, l’anello mancante tra quel mondo e il nostro. Non si può rispondere ad un’illusione ma si può raccontare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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