Algeria, primi anni ’60. Lui lavora nella polizia francese. Ha un brutto compito: deve far parlare i ribelli. A volte le torture durano ore ed ore. Turni di lavoro estenuanti. L’algerino sembra che stia per cedere, e allora si prosegue con le torture ad oltranza. Il poliziotto sente le voci, le urla dei torturati giorno e notte, ed è diventato violento, picchia moglie e figli. Il poliziotto è in cura presso lo psichiatra dell’ospedale, un francese di colore, ma molto, molto bravo, dicono. E’ fastidioso dare il cambio al collega e scoprire che poi il ribelle parla con lui, e quello si prende i meriti del mio lavoro, dichiara. Il poliziotto va in ospedale a farsi curare dal medico, ma per uno strano scherzo del destino incrocia una vittima delle sue torture, un brav’uomo che con la resistenza, peraltro, non c’entrava nulla. I poliziotti francesi lo hanno torturato fino allo stremo delle forze, anche con la corrente elettrica, ed è in cura dallo stesso psichiatra. Il poliziotto, il carnefice, alla sua vista, si sente male, si accascia tremante. La vittima fugge, si chiude in bagno, tenta di uccidersi. Pensa che siano venuti a prenderlo anche in ospedale. Il medico “negro” gli fa credere di aver avuto una allucinazione, per tranquillizzarlo. Il 6 dicembre del 1961 muore a soli 36 anni Franz Fanon, l’autore del fortunato libro “I dannati della terra”, che spiega, con piglio rivoluzionario, le trasformazioni psicologiche delle persone durante la decolonizzazione drammatica come quella tra francesi e algerini, negli anni 50′ e 60′, quando le nazioni africane e asiatiche si liberavano dello sfruttamento e degli abusi delle colonie europee. Nato a Martinica, piccola isola dei Caraibi colonia francese, Fanon è medico pischiatra e filosofo, un intellettuale che nel giro di pochi anni diventerà un riferimento teorico delle rivoluzioni in atto nel terzo mondo. Tra l’altro, svelò i meccanismi inconsci prodotti dalla colonizzazione, le frustrazioni e le ossessioni che colpiscono le persone colonizzate, ma anche dei colonizzatori, come nel caso del poliziotto francese che aveva in cura. La violenza perpetuata ai danni dei popoli colonizzati, infatti, non scompare all’atto della sua manifestazione, ma si trasferisce in tensione che si accumula nelle menti e nei muscoli della persone e rimbalza finché non si placa. Fanon dimostra che il razzismo scientifico degli studiosi che ritenevano gli algerini dediti per natura alla violenza e all’istinto irragionevole, è del tutto falso. E’ un discorso razzista che fa il paio con la politica di disumanizzazione perpetuata volutamente dai coloni. Fanon spiega che alla disumanizzazione metodica si accompagna l’animalizzazione, il costante trattamento di svilimento delle prerogative umane dei colonizzati. Fanon spiega come i colonizzati finiscano per perdere l’orientamento culturale e sociale e accumulino la violenza subita, che poi finiscono per trasferire nelle forme anche estreme, come nel caso della rivolta violenta. Come il caso del ribelle a cui i poliziotti francesi hanno ucciso la madre e le due sorelle che uccide brutalmente, per un raptus incontrollato, una donna dei coloni nel momento in cui dice “sono una mamma”. Franz Fanon, con il piglio rivoluzionario tipico dell’epoca, traccia nel suo celebre libro anche uno scenario geopolitico che poi si è rivelato congruo. Ad esempio quando spiega che la borghesia africana, non avendo mai potuto crescere liberamente sotto il giogo coloniale, non è adeguata a sostenere il peso dello sviluppo e che finirà di nuovo nelle grinfie degli stessi paesi colonizzatori, preconizzando la nascita di nuove dittature e di una frattura tra la classe dirigente e il popolo. “Certi paesi sottosviluppati manifestano in tal senso uno sforzo colossale” spiega Fanon. “Uomini e donne, giovani e vecchi, entusiasti, si arruolano in un vero lavoro forzato e si proclamano schiavi della nazione. Il dono di sé, lo sprezzo d’ogni preoccupazione che non sia collettiva, fanno esistere una morale nazionale che conforta l’uomo, gli ridà fiducia nel destino del mondo e disarma gli osservatori più reticenti. Crediamo tuttavia che un simile sforzo non potrà continuare a lungo a quel ritmo infernale. Quei paesi giovani hanno accettato di raccogliere la sfida dopo il ritiro incondizionato dell’ex paese coloniale. Il paese si ritrova tra le mani della nuova équipe, ma in realtà occorre ricominciar tutto, ripensar tutto. (…) Perciò la giovane nazione indipendente si vede costretta a continuare i circuiti economici instaurati dal regime coloniale. Essa può, certo, esportare verso altri paesi, verso altre zone monetarie, ma la base delle sue esportazioni non è fondamentalmente modificata. Il regime coloniale ha cristallizzato circuiti e si è costretti sotto pena di catastrofi a mantenerli. Bisognerebbe forse ricominciare tutto, cambiare la natura delle esportazioni e non soltanto la loro destinazione, indagare di nuovo il suolo, il sottosuolo, i fiumi e perché no il sole. Ora, per far questo, occorre altro che l’investimento umano. Ci vogliono capitali, tecnici, ingegneri, meccanici, eccetera. Diciamolo pure, noi crediamo che lo sforzo colossale al quale sono invitati i popoli sottosviluppati dai loro dirigenti non darà i risultati previsti. Se le condizioni di lavoro non sono modificate, ci vorranno secoli per umanizzare quel mondo fatto animale dalle forze imperialiste.” Il pensiero di Fanon è più attuale che mai, ed anzi spiega le difficoltà attuali di una pacificazione tra i popoli degli ex coloni e quelli degli ex colonizzati. “La verità è che non dobbiamo accettare quelle condizioni. Noi dobbiamo apertamente rifiutare la situazione alla quale vogliono condannarci i paesi occidentali. Il colonialismo e l’imperialismo non si sono sdebitati con noi quando han ritirato dai nostri territori le bandiere e le forze di polizia. Per secoli i capitalisti si sono comportati nel mondo sottosviluppato come veri criminali di guerra. Le deportazioni, i massacri, il lavoro forzato, lo schiavismo sono stati i principali mezzi impiegati dal capitalismo per aumentare le sue riserve d’oro e di diamanti, le sue ricchezze e per stabilire la sua potenza.” Fanon tocca un punto a cui l’Europa, naturalmente, è sorda. Ovvero la riparazione dei danni coloniali. Anzi, prosegue, come lo Stesso Fanon aveva preconizzato, lo sfruttamento con altre forme, con il fondamentalismo dell’economia piuttosto che con le torture e i massacri, che comunque anche oggi non mancano, anche sotto la forma di “esportazione della democrazia”. Purtroppo il sistema mondo ormai si sostiene con lo sfruttamento e poco poté fare il medico filosofo Fanon, colpito peraltro duramente da un male incurabile in giovane età. Prima di morire, con un messaggio inviato a un amico, esprimerà il rammarico per non essere riuscito a fare di più per le masse popolari svantaggiate di tutto il mondo. Anche le masse popolari europee, spiega, avranno il compito di reintrodurre l’uomo nel mondo, l’uomo nuovo e totale, un lavoro colossale di cui ancora, all’epoca, nonostante le teorie socialiste e marxiste, non si vedeva l’orizzonte. Infatti la fortuna del pensiero di Fanon resterà limitata agli “alternativi” e a pochi rappresentanti dell’intellighenzia europea come Sartre. Allora come ora anche l’apparato intellettuale restava confinato nell’ambito del proprio piccolo giardino culturale e della cosiddetta lotta di classe interna, e lo sguardo al mondo intero, la creazione di una umanità solidale e di una fratellanza universale, era molto lontana dalla maggioranza delle idee. Eppure, come dice Fanon, sarebbe l’unica strada possibile per la redenzione dell’uomo. Resteremo una umanità lacerata ancora per molto, saremo come il poliziotto francese che, la notte, sente le urla dei torturati e si accascia, tremante, alla vista della vittima, a cui altro non resta che restituire la violenza subita sotto forma di autolesionismo o di altrettanta cieca, brutale, violenza.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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