Il bombardiere americano sganciò la bomba, che esplose a mezz’aria, a cinquecento metri di quota, distruggendo quasi completamente la città e uccidendo, all’istante, decine di migliaia di persone inermi, civili, donne e bambini, mentre altre moriranno, per le radiazioni, nel tempo a venire, per un totale di circa 200 mila persone. Il mondo, da quel giorno, cambiò. Cambiò radicalmente, e per sempre, l’immaginario collettivo della specie umana. L’idea, cioè, che la guerra non fosse solo una cosa immonda, sanguinaria, folle, distruttiva, ma anche “definitiva”. Nacque l’idea, inoltre, che la guerra non solo potesse distruggere tutto all’istante, ma anche che i suoi effetti mortiferi, veleniferi, si sarebbero espansi nel tempo e nello spazio circostante. Le ragioni di quella bomba, sganciata insieme alla gemella di Nagasaki a guerra ormai quasi finita, sono state discusse per anni. La teoria americana, consolatoria, è quella che sostiene che occorreva dare il colpo di grazia al Giappone indomito e resistente, per poter porre fine a quello strazio. In realtà, da più parti si sostiene che gli Usa fremevano, nel momento in cui si andava a contrattare la ristrutturazione della geografia mondiale, di dimostrare la loro superiore potenza tecnologica e militare e sedersi al tavolo delle trattative in una posizione di forza. Un calcolo non del tutto sbagliato; tuttavia quella visione etnocentrica, tipicamente europea e occidentale, quella visione di superiorità tecnologica dell’uomo bianco, si vedrà smentita nel giro di pochi anni, perché non solo Usa, GB e Francia si doteranno della bomba atomica, ma anche Russia, Cina, e India, seguite, negli anni successivi, anche dal Pakistan e, probabilmente, da Israele e Corea del Nord. In particolare l’arsenale sovietico, oggi russo, non era di molto inferiore a quello della Nato. Insomma, ci sarebbe stato il tanto per distruggere l’intero pianeta. Nacque così, in piena guerra fredda, l’equilibrio del terrore. La consapevolezza, insomma, che una guerra con ordigni atomici, o nucleari, sempre più potenti, non avrebbe visto nel pianeta vincitori, ma solo vinti. Da quella data, perciò, la specie umana non ha più utilizzato quegli orribili ordigni. Non sono mancate le guerre in questi anni, condotte anche con mezzi ignobili, ma in nessuna è stata più usata quella bomba. Tuttavia ad osservare, oggi, la distruzione causata dai bombardamenti convenzionali nelle città della Siria o dell’Iraq, in guerre più o meno direttamente condotte da europei e americani, viene da pensare che quella parte cieca e buia dell’animo umano, avida e arida, sopravvive e sopravviverà ancora chissà per quanto tempo, portando la specie umana, prima o poi, sull’orlo di un baratro dal quale non sarà facile tornare indietro.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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