Laura è un bellissimo nome. Di donna. Se avessi avuto una figlia quasi sicuramente l’avrei chiamata Laura. Perché rappresentava, per me, l’essenza più alta dell’amore. Il 6 agosto 1985 avevo 26 anni ed era quello l’anno in cui Falcone e Borsellino erano stati all’Asinara. Avevano chiuso, con grandi sacrifici, quel processo ad “Abate + 93” come recitava la copertina del rinvio a giudizio, proprio nella foresteria Nuova dell’isola. Erano ripartiti tra il mare e il destino e noi, all’Asinara cominciavamo a capire che quelli mica sarebbero rimasti nelle pagine dei giornali dell’attualità. Quelli erano destinati a fare la storia. Laura, invece amava aspettare suo marito sul balcone. Riconosceva l’Alfetta. Da lontano. Riconosceva Roberto Antiochia, il giovane agente che sempre, quando l’alfetta si fermava, scendeva per primo ad aprire la portiera al suo commissario: Antonino, detto Ninni. Ninni Cassarà. Perché poi i destini si intrecciano senza che nessuno riesca mai a comprendere quale sia il principio chimico dell’essenza dell’attimo. Laura lo vide quel lampo partire e raggiungere l’agente Antiochia. Era un fucile Ak-47, uno di quelli costruiti per uccidere e per distruggere le storie. Laura dal balcone vide tutto, cominciò a urlare ma la voce non si sentì. Aveva la figlia in braccio, corse per le scale perché non poteva essere che Ninni potesse cadere. Non era possibile che ci fossero persone così crudeli. Ninni arrivò ad abbracciarla, a guardarla per l’ultima volta. Lui, l’amico di Falcone e Borsellino fu il primo a cadere. Lo sapeva e lo diceva sempre a Laura: “da noi le statue non le fanno con il marmo, ma con il tufo. Perchè non possono durare.” Ninni Cassarà fu assassinato a 38 anni. Leggetevi il bellissimo libro “i disarmati” di Luca Rossi. Ci sono le parole di Cassarà, di Falcone e di Borsellino. C’è anche, seppure in sottofondo, la storia di Laura. Moglie di un commissario che credeva nello Stato. Laura. Un bellissimo nome. Di donna. Donna vera.
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