Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.
C. Beccaria
Se si volesse sintetizzare la cronistoria della pena di morte in Italia e lo si volesse fare estremizzando, si potrebbero accostare le parole citate sopra, tratte dall’opera Dei delitti e delle pene al vacuo “La camera approva” col quale la Camera dei deputati, nelle parole dell’allora presidentessa Irene Pivetti sanciva- appena 21 anni fa-la cancellazione della pena capitale dal codice penale militare di guerra. Fortunatamente, la storia d’Italia, seppur con luci e ombre, permette di inserire altre tappe e altri nomi tra Cesare Beccaria e la Pivetti; nel 1786, ad esempio, il granducato di Toscana diventava il primo stato al mondo a mandare in pensione il boia. La Toscana, appunto, non tutta l’Italia, che dopo l’unificazione mantenne in tutte le altre regioni la pena, fino all’introduzione del codice Zanardelli nel 1889. Ironie a parte, se già il 1994 pare data assai tarda per l’abolizione dell’esecuzione capitale, ancora più sorprendente è sapere che solo nel 2007 la Costituzione italiana emendava l’articolo 27 eliminando completamente il riferimento a questo istituto. Le ultime esecuzioni capitali italiane datano, quindi, la fine degli anni ‘40, quando le condanne dovevano servire, si disse, a chiudere definitivamente con la parentesi fascista e bellica. Tuttavia,l’Italia abolizionista si colloca in un mondo in cui Amnesty International ha contato 22 paesi esecutori nel 2014: Cina,Iran,Arabia Saudita,Iraq e Usa sono in testa in questa triste graduatoria. Se il Congresso statunitense è stato teatro del discorso abolizionista di Papa Francesco- sebbene poche ore dopo venisse condannata all’iniezione letale una donna nello stato della Georgia- in un altro stato niente pare in grado di rompere l’indifferenza riguardo la condanna di un giovane di 21 anni, Ali Mohammed al-Nimr. “Proteste anti governative” è l’accusa che potrebbe portare Ali alla morte. Arabia saudita e Occidente si trovano alleate ancora una volta. Ad unirli, questa volta, non il fragore delle armi, né l’odore del petrolio, bensì, il silenzio.
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