Io nei vecchi giornali vado a cercare le piccole notizie, i trafiletti di cronaca, il colonnino di brevi. Sono ghiotto di queste minuscole storie di quotidianità, spesso divertenti o tragiche da sciogliersi in pianto. Iniziano e finiscono in quelle poche righe loro dedicate, senza sviluppi né strascichi, ma possiedono una carica di umanità che lascia dentro qualcosa di irrisolto e il desiderio di saperne di più.
5 luglio 1980. Anna e Paola escono dalla clinica psichiatrica di Bologna dove erano ricoverate. Anna ha cinquant’anni, viene dalla provincia di Ferrara, si è da poco separata dal marito e ha un figlio.
Paola vive a Bologna ma è di Bari, ha 28 anni e studia all’università.
Escono insieme dalla clinica e si fermano a San Giovanni in Persiceto, a venti chilometri da Bologna. Entrano in un ristorante e insieme cenano, raccontandosi chissà che cosa.
Forse le speranze per l’inizio di una nuova vita fuori dall’ospedale, forse la disperazione di chi teme di non farcela.
Poi, finita la cena, lasciano il ristorante, raggiungono i binari e ci si sdraiano sopra, aspettando il treno da Bolzano che porrà fine alle loro vite.
Anna ha premeditato tutto. Chi raccoglie i suoi poveri resti troverà nella borsa che la donna aveva con sé tre lettere di ringraziamento e di addio per il personale della clinica, per un medico, per il figlio.
Un grazie, prima di salutare il mondo.
Un atto di buona educazione un passo prima della morte.
Una volta andai a trovare mia mamma all’ospedale, dove l’avevano appena sottoposta ad un piccolo intervento chirurgico. Era l’estate del 1997.
Mi raccontò che la notte prima non aveva dormito. Avevano ricoverato un signore con un tumore allo stadio terminale. Questo povero vecchio era tormentato da dolori atroci, che lo facevano bestemmiare e urlare come una bestia prima di essere scannata.
Gli altri pazienti si lamentarono rumorosamente, rivendicando il loro diritto a riposare.
Il vecchio stette zitto per un momento, poi disse queste parole: “Chiedo scusa a tutti”.
Furono le ultime che ebbe la forza di pronunciare.
Nella stessa pagina di giornale da cui ho letto la storia di Anna e Paola, un poco più a sinistra, ho trovato che il 5 luglio del 1980 era finito in guardina il 28 enne attore Roberto Benigni. Benigni si era unito ad un gruppo di redattori e simpatizzanti della rivista satirica Il Male, i quali stavano dirigendosi verso Villa Borghese, a Roma, dove volevano aggiungere un busto di Giulio Andreotti accanto a quelli di Leopardi, Foscolo, Manzoni, Grazia Deledda e delle altre personalità storiche installati al Pincio.
Giunta sul posto, la comitiva venne presto raggiunta dalla polizia, agli ordini del vicequestore Pompò. Ne nacque una discussione, nella quale Benigni si intromise con un monologo tutto basato sulle storpiature del nome del poliziotto, che si presta a facili ironie.
Ma Pompò, non apprezzando la satira, denunciò Benigni e lo portò in questura per resistenza.
Due brevi di cronaca di quarantadue anni fa mi hanno fatto piangere e ridere.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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