Salvatore Cambosu è stata una delle figure letterarie più significative della Sardegna dei primi decenni del dopoguerra. Nato a Orotelli da una famiglia numerosa imparentata con Grazia Deledda, si diplomò a Cagliari e, abbandonati gli studi universitari, si dedicò all’insegnamento e al giornalismo. Ben presto si mise in evidenza come uno degli intellettuali più raffinati dell’isola, in un periodo di grande fervore letterario e culturale. Gli sforzi degli intellettuali che scrivevano nei giornali e nelle riviste che allora animavano il fervido panorama culturale del dopoguerra, tendevano in particolare a uscire da quell’immobilismo sociale al quale la Sardegna pareva condannata dalla sua lunga e travagliata storia. Era il periodo in cui si discuteva della “Rinascita”, e il gigantesco maremoto della modernità si presentava all’orizzonte, pronto a spazzare l’antico sistema antropologico sardo. Periodo di fervore e, soprattutto, di grandi speranze. Ma Cambosu, pur consapevole dell’importanza di un cambiamento nell’isola, soffriva di una sorta di inquietudine. Un po’ come la ben più celebre cugina Grazia Deledda, percepiva, forse, il rischio della perdita, per strada, insieme al vecchio inutile, di quelle tradizioni e di quelle prerogative peculiari sarde che all’epoca erano, perlopiù, viste come altrettanto inutili, se non nocive. Così nacque quel suo originalissimo capolavoro, Miele Amaro, pubblicato nel 1954, e che già nel titolo condensava in maniera ermetica, in sintesi, la nostalgia, la malinconia, il dolce e l’amaro di una patria sofferta. Miele Amaro è dunque una sorta di diario dove l’autore riversa frammenti di storia dell’isola, poesie di diversi autori, cantilene e filastrocche per bambini, osservazioni etnografiche, racconti tradizionali scritti con stile elegante e con raro lirismo. Una sorta di Arca di Noè dello scibile sardo, prima che quell’onda gigantesca si infrangesse sulla riva spazzando via ogni cosa, o un po’ come nei seppellimenti arcaici delle persone importanti, quando si riponevano nella sepoltura gli oggetti più significativi del quotidiano e della storia del defunto. Miele Amaro resta dunque un’ancora di salvezza, un diario di bordo, un racconto di viaggio millenario, una fune di salvataggio, un segnalibro multiplo, un quaderno di appunti. La sacralità del pane, ad esempio. “La vigilia dell’infornata, al tramonto, mia madre seppelliva in segreto una palla di pasta color terra nella farina intrisa con l’acqua tiepida e salata. Poi, disegnata con la punta d’un dito il segno della croce sul mucchio, non so quali parole o preghiere bisbigliasse movendo appena le labbra; come si fa davanti a una sepoltura. Ma passavano pochi momenti, e lei ricopriva tutto con panni di lana, come faceva con noi bambini, quando cadevamo ammalati e, per guarire, dovevamo sudare”. E’ il miracolo della lievitazione, che va accompagnato con una ritualità ormai perduta. Ecco, Salvatore Cambosu questo temeva, il disperdersi dei valori che erano sardità e umanità insieme. Già nell’emblematico racconto “L’anno del campo selvatico”, precedente Miele Amaro, allo sfruttamento della natura, come il disboscamento, e la perdita di valori travolti dall’avidità affaristica, si accompagnava la sventura degli uomini, l’invasione delle cavallette, l’infermità e le malattie dei figli. Secondo quanto si racconta, la prestigiosa casa editrice Vallecchi che si era aggiudicata la pubblicazione del capolavoro, richiese tabelle e appendici su quella terra, la Sardegna, sconosciuta ai più, che l’autore, a quanto sembra, fece con riluttanza. Ho trovato interessante la tabella sulla civiltà nuragica. Siamo negli anni ’50 e ancora si era agli albori degli studi su quella parte di storia dell’isola. Validi archeologi come il Taramelli, il Pallottino (al quale si attribuisce la fonte), e un giovane Lilliu, lavoravano per far emergere la Sardegna dalle nebbie di una storia che l’aveva dimenticata. Ho sorriso. Il tardo eneolitico e il principio della civiltà del bronzo viene datato tra il 1500 e l’800 a.C., insieme ai sepolcreti rupestri e ai primi nuraghi. Il nuragico pieno viene ritardato di diversi secoli, oltre mezzo millennio, iscritto tra l’800 e il 500 a.C., insieme alla colonizzazione fenicia e ai contatti con gli etruschi. In pratica, possiamo dire che, all’epoca, la civiltà nuragica, oggi considerata come una delle più importanti del mondo antico in particolare nel Mediterraneo Occidentale, molti secoli antecedenti a quelli, non esisteva. Ho sorriso, pensando a Salvatore Cambosu. Chissà cosa avrebbe pensato oggi dell’importanza che, tra tante resistenze, la storia antica dell’isola, all’interno di una progressione che pare inarrestabile, cresce con la prosecuzione degli studi, e ancora non sembra essersi fermata. Chissà cosa avrebbe pensato, l’autore di Miele Amaro e di tanti raffinati e significativi racconti, della Sardegna di oggi, di quello che si è perduto, di quello che si è trasformato, e di quello che ancora resiste.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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