Finalmente libera. L’automobile viaggiava nottetempo, tra le macerie, sotto la pioggia. Ma ciò che tormentava Giuliana Sgrena, non era quel viaggio spettrale. Si fidava di quei due alti funzionari dello Stato che l’accompagnavano e che avevano rischiato la vita per liberarla. Forse gli eroi esistono. C’era un tarlo, però. Prima di liberarla, uno di quelli della Jihad irachena gli aveva soffiato in faccia un brutto malaugurio. Tanto ti uccideranno gli americani. Uno di quei malauguri che solo quelle torve persone potevano ipotizzare. Gli americani, i nostri alleati! Correva voce, tuttavia, che gli americani non avevano affatto gradito quella trattativa, e che erano molto arrabbiati. Ma da qui ad uccidere! Storicamente poi, i giornalisti di guerra, coloro che rischiano la vita per farci sapere quello che accade in quei luoghi dimenticati dalla grazia divina, vengono visti come ficcanasi. Sempre vicini a varcare la soglia di quel mondo oscuro, che non si deve sapere. Zone grigie, armi vendute comunque, anche ai nemici, traffici illeciti, droga, rifiuti pericolosi. Le guerre sono tutte sporche, talmente sporche che tutto, di esse, no, non si deve sapere. E ogni tanto qualche giornalista ci lascia le penne, in circostanze misteriose. L’auto viaggiava tranquilla. Calipari, al suo fianco, era attento, guardingo. Un uomo che sapeva fare, e bene, il suo lavoro, come aveva dimostrato nella sua carriera di funzionario dello Stato, sempre impegnato in frontiera, nei luoghi più pericolosi e ignoti. Ma traspariva in lui, si capiva, anche la soddisfazione per l’ennesima impresa compiuta. Ormai era quasi fatta. L’ultimo posto di blocco, prima della salvezza. L’ultimo posto di blocco americano, amico, come superamento di un incubo, di un ritorno dall’Ade. Poi, improvvisamente, una luce abbagliante. Qualcosa di anomalo, perché i due poliziotti, all’unisono, si mossero. Carpani, l’autista, frenò di colpo, Calipari si gettò sopra la giornalista per proteggerla. Iniziarono gli spari. Spari e ancora spari, che sembravano non finire mai. Decine, centinaia di pallottole a crivellare l’auto degli italiani. Minuti che parvero secoli. Forse gli eroi esistono, e spesso muoiono, per salvare un’altra vita, così, per quella assurda cosa che si chiama dovere. Il senso del dovere, che sembra una cosa artefatta, retorica, in realtà esiste. Funziona che una persona, animata da un forte altruismo e lealtà, finisce per programmare la sua vita per quello scopo. Quello è il suo scopo, e non altri, e per quello si va incontro a tutto. Quanta gente, fuori e dentro le istituzioni, sputa sopra quel senso del dovere, rubando, corrompendo, denigrando lo Stato e le istituzioni con parole e comportamenti. Eppure quel senso del dovere, e quell’alto senso dello Stato, come si dice quando si consegnano le medaglie postume, è quello che ci dà da mangiare. Calipari giaceva morto, sopra il corpo della giornalista ferita ma salva. L’altro funzionario, Andrea Carpani, al volante dell’auto, ferito seriamente, ma per fortuna salvo. I fatti, nelle varie ricostruzioni e inchieste aperte successivamente, hanno evidenziato la totale incongruenza della versione ufficiale americana, accolta, peraltro, dall’allora governo di Berlusconi e Fini per non turbare i rapporti d’amicizia con l’alleato. Una versione che è definibile non solo incongruente, ma persino falsa, in aggiunta alle reticenze e ai depistaggi. I soldati hanno aperto il fuoco senza il rispetto del protocollo e delle regole d’ingaggio. La versione più plausibile, alla luce delle mille ipotesi, è che “qualcuno” abbia ingannato i soldati del posto di blocco avvisando che l’automobile in cui viaggiavano gli italiani fosse un’autobomba. In questo caso, per i soldati, vale sempre il detto “meglio un brutto processo che un bel funerale”. Infatti l’errore umano, di giovani soldati stanchi e spaventati, è consueto. Tuttavia, in questo caso, vi sono concreti elementi per ritenere che vi sia stata una premeditazione, che abbiano cioè aperto una pioggia di fuoco in largo anticipo. Resta da capire “chi” ha fatto quella soffiata. Anche in questo caso, le ipotesi, alla luce di documenti, testimonianze e intercettazioni, porta verso diverse piste. Ma tutte conducono verso quelle zone grige, quegli intrecci segreti e internazionali, quegli androni scuri e fumosi dove si decidono quelle cose, durante le guerre, che no, non si devono sapere. L’unica certezza che resta è che gli eroi esistono. E Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria il 23 giugno del 1953, morto a Baghdad il 4 marzo del 2005, all’età di 52 anni, lasciando moglie e due figli, lo era, senza dubbio.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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