Sono convinto che i conti con il pirata non li abbiamo ancora fatti. Marco Pantani il 4 giugno 1994 vinceva la sua prima tappa da professionista nel suo primo Giro d’Italia e finì secondo in classifica generale dietro solo ad Indurain. Era il gregario di Chiappucci ma quel giorno Pantadattilo (come amorevolmente lo chiamava Gianni Mura, il suo più grande e vero tifoso) si presentò al mondo in una parabola che divenne iperbole di eroismo e tristezza. Ho amato Marco Pantani (e lo amo ancora) per quella sua gioia repressa di ruggire davanti alla montagna, quella sua incontenibile voglia di essere sempre solo contro tutti: la salita, la discesa, la caduta, la vittoria, la disperazione, il doping, l’espulsione, la ripartenza, la morte. I conti con il pirata sono complicati perché l’uomo non era semplice. Aveva sempre quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che disegnava la malinconia di chi deve essere per forza primo. E’ facile vivere nel gruppo, è semplice sorridere e fare l’occhiolino a chi suda insieme a te. E’ quello che fugge, che prova, che tenta in tutti modi l’impresa che non sopporti. Ci soffri a vedere il Pantani gettare la bandana, salire sui pedali e buttarla sulla sfida epocale. Ci lotti con questi fantasmi e se sei stato da sempre “gruppo” vedi solo quella figura esile guardarsi intorno e poi fuggire e tu non riesci a stargli dietro. Non puoi. E forse non devi. Perché qualcuno eroe ci nasce per forza. Il problema è comprendere quando è necessario soffermarsi sulle vittorie, quando è importante guardarsi indietro e avere la capacità di ascoltare e sentire i tuoi gregari, il tuo gruppo. Quando è bello ritornare a sorridere pedalando insieme. Con Marco Pantani i conti non li abbiamo ancora fatti e non è una questione di doping o di disperazione che lo ha portato un giorno di San Valentino a sputare alla vita. Sarebbe troppo semplice. Dovremmo provare a guardare tutte le imprese a rallentatore, ad osservare tutti i silenzi che macinava nelle fughe, tutti i sorrisi che non riuscivano a tramutarsi in felicità.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.012 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design