Il 4 gennaio del 2010, viene inaugurato a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, il Burj Khalifà, il grattacielo più alto del mondo. Un’opera mostruosa che straccia tutti i precedenti record, frantumati grazie ad una altezza di 828 metri, una lancia infinita puntata verso il cielo, che distanza notevolmente il precedente record di altezza detenuto dal grattacielo 101 di Taipei, alto “solo” 504 metri. Un investimento di un miliardo e mezzo di dollari se consideriamo il grattacielo di 169 piani, ma complessivi 20 miliardi se consideriamo tutti i due chilometri quadrati di opere accessorie all’edificio. Una joint venture che mette insieme studi tecnici, costruttori, progettisti di mezzo mondo per un’opera realizzata solo in 5 anni. Negli ultimi anni la bizzarra gara a costruire il grattacielo più alto ha avuto una accelerazione improvvisa. Tutto iniziò ai primi decenni del secolo scorso, quando le due grandi e moderne metropoli americane, New York e Chicago, iniziarono a rivaleggiare con edifici sempre più imponenti. Si ricorderà che La Torre Eiffel, del 1889 e alta 300, pur non essendo un grattacielo, aveva stupito il mondo con la sua altezza. Ma nel 1931, con l’Empire State Building, che supera sul filo di lana il concittadino Chrysler Building, il mondo dell’architettura entra in una nuova dimensione. Il grattacielo di New York, alto 381 metri, resiste con il suo record mondiale fino al 1973, quando venne superato dalle ormai tristemente celebri torri gemelle del WTC con 417 metri. Le quali, a loro volta, dopo pochi mesi, vengono superate dalla Sears Tower (ora Wills Tower) di Chicago con 443 metri, che così, alla fine, si prende il tanto agognato primato. Come uno di quei ciclisti che resta nascosto in gruppo e poi piazza lo sprint vincente, Chicago riesce alla fine a mettere il proprio primato davanti alla città rivale. Una beffa. Ma le due città americane non potevano immaginare quello che stava bollendo nel sud est asiatico, dove le “tigri” incominciavano a costruire grattacieli sempre più alti. Improvvisamente, come nella gara per la conquista dello spazio contro i russi, gli americani si trovarono di fronte un inaspettato concorrente. La Sears Tower perse il primato, infatti, nel 1998, a causa di una opera di ardita e modernissima ingegneria, le Petronas Tower, alte 452 metri, di un piccolo ma arrembante paese asiatico, la Malesia. Il mondo scopriva che uno dei più importanti simboli della potenza economica di una Nazione, il grattacielo, era ormai di predominio dei paesi dell’Asia. Un altro piccolo paese asiatico, Taipei, si prese il primato nel 2004, con “ Taipei 101” , con la sua forma caratteristica che ricorda la struttura di una canna di bambù. Come si sa, l’orgoglio americano non si arrende facilmente. Così progettarono, in sostituzione delle Torri Gemelle crollate nel 2001, un grattacielo, il Freedom Tower, alto 541, ovvero 1776 piedi, data della Dichiarazione di indipendenza americana, tale da diventare il nuovo primatista mondiale. Ma ormai le tigri asiatiche erano scatenate. A Shangai già costruivano un grattacielo, il Shangai Tower, ancora più alto di quello americano. Ma come spesso succede tra i due litiganti, il terzo gode. Il terzo incomodo infatti, nella bizzarra gara a chi costruisce il grattacielo più alto, diventa il mondo arabo. Due anni prima della ricostruzione del grattacielo di New York, viene inaugurato il Burj Khalifà. Ma già l’anno successivo, termina di essere costruito il più grande edificio del mondo, se lo consideriamo nel suo complesso, l’Abraj al Bait di La Mecca, in Arabia Saudita, alto 601 metri con 1500000 m2 di superficie occupata, superiore all’aeroporto di Dubai. In un certo senso, il primato degli edifici più alti del mondo torna indietro con un salto nel tempo, quando l’antico Egitto sorprendeva il mondo antico con le sue Piramidi e il Faro di Alessandria. Fino al secolo scorso, il primato degli edifici più alti del mondo era detenuto dalle varie cattedrali europee, con campanili che svettavano oltre i 150 metri di altezza e che, spesso, essendo in muratura, periodicamente crollavano. Ma le cattedrali europee, iniziate a partire dal XII secolo, che impiegavano secoli per essere terminate, non erano solo alte. La loro era una gara di bellezza, non solo di altezza. Decorazioni e opere d’arte tempestavano esterni ed interni di quelle mirabili costruzioni, mentre i moderni grattacieli, puntano con sobrietà ed estrema essenzialità verso l’alto. Una gara che ha nel prestigio, più che nello sfruttamento della superficie di aree sovrappopolate, la sua causa scatenante. Infatti questi grattacieli sono noti per un indice, ironicamente definito “vanity height”, che calcola la superficie inutilizzata e addirittura inutilizzabile di questi mostri architettonici, che dimostrerebbe il loro vero obbiettivo: svettare sopra i rivali. I moderni grattacieli, finanziati da centri commerciali, banche, compagnie di assicurazioni, multinazionali, sono il simbolo del potere capitalistico, finanziario e mercantile mondiale. Sono una manifestazione simbolica di potenza totale, assoluta. Analogamente, così come nei tempi antichi la Chiesa permeava completamente, con il suo potere, la vita dell’umanità, allo stesso modo oggi, il potere della finanza e del capitale mondiale è diventato totale, e mostra i simboli del suo potere virile per rammentarci a chi è che dobbiamo riverenza ed obbedienza. Nel caso dell’edificio gigantesco de La Mecca, i due poteri, religioso e finanziario, pare si uniscano in uno solo. Il passaggio dal potere universalista della Chiesa ai vari enti internazionali commerciali e finanziari, alle multinazionali e alle banche è ormai compiuto. Le chiese si svuotano e si riempiono i centri commerciali. La gente è succube della pubblicità come una volta lo era della liturgia. Le ombre di questi mostri di acciaio, cemento e vetro si innalzano sempre più alti, in una gara pazzesca che, al momento, vede il grattacielo di Dubai primeggiare con ampio margine. Ma già si parla di un edificio in progettazione a Gedda, Arabia Saudita, dell’incredibile altezza di un chilometro tondo tondo. La gara a manifestare il proprio potere finanziario, il proprio prestigio, continua.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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