Questa non è solo una storia orrenda, spietata e brutale; è una vicenda complessa formata da più storie che si sovrappongono a strati dando origine a diversi livelli di narrazione.
C’è il treno 1486 Italicus proveniente da Roma e diretto a Monaco di Baviera che, all’1.23 del mattino, esplode all’uscita della Grande Galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro.
C’è un volantino di Ordine Nero (un’associazione terroristica neofascista n.d.r.) che rivendica la strage. “Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.”
La strategia della tensione raggiunge il suo culmine, disseminando terrore anche lungo le rotaie: il 28 agosto quella di Brescia; poi è la volta di Silvi Marina, vicino Pescara; sulla linea Bologna-Firenze; il 29 gennaio lungo la litoranea Adriatica.
Il 1974 è un anno disastroso, i passeggeri salgono col cuore in gola sui treni. Il 1974 è un anno nel quale qualcuno ha creduto fosse arrivata l’ora X.
Quel treno diretto a Monaco portava nel suo grembo quasi mille persone. Su quel convoglio era salito anche Aldo Moro, per raggiungere la famiglia in vacanza in Trentino, ma poco prima che partisse fu costretto ad abbandonarlo perché mancava la sua firma su alcune scartoffie di Stato.
La scelta della galleria come camera di scoppio aveva la certosina finalità di accrescere il maniera esponenziale gli effetti dell’esplosione. Fu solo a causa di un provvidenziale ritardo che nel momento della detonazione il 5^ vagone, dov’era collocato l’ordigno, si trovava a una cinquantina di metri dall’uscita della galleria.
Ma quegli infiniti 50 mt si trasformarono nel teatro di un’apocalisse.
C’è un uomo tra il fumo e le lamiere dilaniate, si chiama Silver Sirotti. Quel controllore, che casualmente era sul treno per sostituire un collega assente, avrebbe potuto mettersi in salvo. Se…
Se solo avesse assecondato l’istinto di autoconservazione. Se non fosse tornato indietro e, facendosi largo tra le fiamme, avesse portato fuori dalla carrozza chi ancora era vivo. Se non si fosse svincolato dalla morsa di contenimento di un passeggero illeso che cercava di trattenerlo. Ma è quella responsabilità incombente di salvare delle vite a pesargli addosso come un macigno. Quella dannata coscienza, seduta sull’ultimo gradino ad assistere alla scena, gli alita sul collo.
Silenzio nella carrozza incandescente e sventrata dove giacciono 12 corpi carbonizzati.
Silenzio lungo i binari dove si prestano i primi soccorsi ai feriti fortunosamente estratti dal convoglio.
Poi il controllore Sirotti si accorge che le argomentazioni che lo trattengono non si limitano più a sfumare, ma crollano in via definitiva. Si lascia indietro tutti gli incubi spaventosi tinti di rosso e risale su quel treno in fiamme. Per non uscirne mai più.
[Foto www.bolognatoday.it]
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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