TRASFORMARE I PROBLEMI DEI LUOGHI IN OCCASIONE ARCHITETTONICA, IN POESIA.
In questi giorni sto assistendo ad una serie di lezioni on line del saggista prof. architetto Luigi Prestinenza Puglisi. Dall’omaggio di ieri, dedicato alla storica Facoltà di Architettura di Firenze e fucina di personaggi importanti per l’architettura italiana, il professore ha continuato, oggi, con un eccellente tributo alla figura e al pensiero del più importante (anche secondo me) architetto italiano del 900, Carlo Scarpa. Scarpa concepiva i suoi allestimenti come opere d’arte rivolte a spazi magistralmente articolati in cui si esponevano oggetti di produzione industriale, ma con un’anima ragionata, disegnata, bella e rivolta all’essere umano proprio come un’opera d’arte. Durante la lezione (stimolato anche dalla recente intervista che Repubblica fa all’architetto Stefano Boeri sulla ripopolazione dei cosiddetti “borghi” rurali dopo l’emergenza Covid-19, The Day After) ho pensato che la filosofia irripetibile di un mecenate come Adriano Olivetti (1901-1960) abbinata a figure capaci di interpretare le esigenze della committenza, potrebbe essere di ispirazione per un ritorno ad una riqualificazione più umana e più ragionata dei nostri Paesi (perennemente) Invisibili. Italo Calvino ne Le Città Invisibili, gioca con innumerevoli combinazioni strutturali delle Città, dei loro caratteri utopici, degli abitanti e delle loro personalità poliedriche. La memoria è tutto, si susseguono semiologia e semantica nelle forme, si rincorrono – divertendosi – i colori con le luci e con gli stati d’animo. Un concetto fantastico, attraente e per certi versi applicabile – metaforicamente – nella rete di interconnessione dei 377 paesi della Sardegna. Olivetti, chiamò gli architetti e designers migliori sulla piazza in quel momento particolarmente storico di rinascita per i suoi showroom. Diverso dagli industriali e dal profitto di oggi, grande filantropo, con una diversa visione del mondo, Adriano Olivetti coinvolse progettisti come Nizzoli, Sottsass, i BBPR con Nivola a New York e appunto Carlo Scarpa. Artigianato, Arte e Industria erano quindi proiettate sulla misura ragionata dell’esigenza umana: ecco l’eredità di una figura come quella di Carlo Scarpa. L’opera veniva progettata accostando con dedizione e intuizione materiali e forme da consacrare alla costruzione di spazi all’interno dei quali, sin dalla sua origine progettuale, è l’Uomo ad esserne il lettore e il fruitore. Carlo Scarpa (come tanti altri grandi progettisti del 900 non era laureato in architettura) diede risalto alla composizione di forme nata dalla convivenza dello spazio antico, preesistente con le forme e i materiali anche tradizionali, con il moderno in una trasformazione della tradizione entusiasmante, unica. Fece grande uso dei materiali tradizionali ma anche innovativi trasformati sapientemente da artigiani locali, veri custodi dell’arte di costruire, edificare, formare. “TRASFORMARE I PROBLEMI IN OCCASIONE ARCHITETTONICA” Assecondare i problemi architettonici ed estetici, trarre spunti e far diventare anch’essi elemento poetico. L’opera di Scarpa è talmente unica che è facilmente riconoscibile, originale nelle sue forme e nelle sue materie. Il suo pensiero, sintetizzato, in una frase “l’importante è costruire; costruire il mondo e farlo bene”. E per farlo bene lo si doveva fare con tutti i crismi, con tutta l’onestà intellettuale mettendo al confronto e all’opera maestri artigiani e tecnici. Assecondava i problemi che si presentavano e ne traeva forza di ispirazione trasformandoli in occasioni architettoniche uniche. Non esistono più i mecenati responsabili come Olivetti, ma ci sono i Comuni, i sindaci, gli Enti piccoli o grandi che siano, che si fanno portavoce delle cittadinanze, composte da persone che dovrebbero fungere da committenti sensibili. Committenti che hanno cioè il dovere di intraprendere, adesso più che mai, in questo prossimo periodo di “The Day After”, un processo di riqualificazione e di riscoperta dei centri urbani spopolati, delle abitazioni vuote, disarmate dalla perenne rassegnazione e dai rampicanti, rivolgendo e tendendo la mano, per un’accoglienza stabile, a cittadini che cercano serenità e dignità; spazi comuni e piccoli orti vitali, scuole e biblioteche anche condivise ma collegate costantemente e fisicamente. In una progettazione non più partecipata ma richiesta, voluta e commissionata per una connessione interdisciplinare. Ecco, da questi spunti si potrebbe ripartire, in Sardegna, per “trasformare” e rendere “leggere” e vitali le architetture e i sistemi rurali rimasti. Dal ripristino delle calci che intonacavano e restituivano dignità anche alle abitazioni più povere, alle pavimentazioni stradali (i sentieri sterrati attraggono di più rispetto a quelli asfaltati con il petrolio nero), raramente contestualizzate. Ragionare e ri-progettare i centri urbani rurali come paesi d’arte. Accostare alla loro storia, sistemi artigianali a sistemi innovativi di costruzione legati alle esigenze contemporanee. Valorizzare (odio questa parola: abbiamo, in Sardegna, enormi valori, sono già valorizzati, non c’è necessità di dorare l’oro, bisogna solo lucidarlo ed esporlo meglio) ciò che non è valorizzato, anche le cose e le case scarse, difficilmente presentabili ma potenzialmente utili ad assumere nuova vita e nuove forme. La diversità è una fonte di ispirazione e stimoli per la progettazione. Concepire dei paesi-poesia, dal carattere isolano, non copie stupide del passato; non la ricerca dell’estetismo estremo né l’ossessione della composizione colorata e folklorica ma il ritorno alla calma, all’estetica dei paesi, la timida ed espressiva vivacità dalle mille sfumature percepibili solamente vivendo i paesi nella quotidianità. I cittadini dovranno riacquistare fiducia nelle istituzioni, smarrita negli anni all’interno di dimenticanze spesso volute, nella sottrazione del diritto di vivere nelle piccole comunità. La paesitudine dovrà essere un carattere, uno stile di vita dignitoso. Arte, artigianato, memorie culturali, immensi spazi silenziosi di campagna tra agricolture e paesaggi contrastanti da vivere e rispettare. Un riappropriarsi dei propri spazi vitali, soffocati dai grandi contenitori commerciali, veri cannibali di società civile. I 377 paesi invisibili potranno essere vissuti con interscambio turistico tutto l’anno portandoli ad assumersi ciascuno le proprie responsabilità di custodi della memoria ritrovata e offerta nell’accoglienza quotidiana e non più stagionale.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
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Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
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