La strage di Peteano è sempre stata, a torto, sottovalutata e confinata entro il perimetro del territorio goriziano, senza il clamore di altri avvenimenti analoghi che per mesi si sono accaparrati le prime pagine dei quotidiani nazionali.
Secondo il giudice istruttore Felice Casson, invece, si era trattato di un attentato tutt’altro che locale, bensì finalizzato a nascondere la strategia della tensione e, soprattutto, collegato con l’organizzazione clandestina paramilitare Gladio (struttura nata per contrastare la minaccia comunista n.d.r.)
La notte del 31 maggio alle 22.35 il Pronto intervento dei Carabinieri di Gorizia riceve una telefonata anonima. L’uomo all’altro capo del telefono ha un forte accento goriziano e si esprime in dialetto: «Senta, vorrei dirle che c’è una macchina che ha due fori di proiettile sul parabrezza.. Si tratta di una cinquecento bianca, vicino alla ferrovia, sulla strada per Savogna».
Alle 23.05 giungono sul posto tre gazzelle dei carabinieri, poi raggiunti da una terza pattuglia proveniente da Gorizia. I carabinieri Ferrero, Poveromo e Dongiovanni moriranno nel tentativo di aprire il cofano della 500, provocando l’esplosione dell’auto e un altro, rimasto a distanza, riporterà numerose ferite. La indagini vengono affidate al colonnello Dino Mingarelli che indirizza prontamente la sue ricerche verso l’estrema sinistra, dove Lotta Continua di Trento appare immediatamente un confortevole e attendibile responsabile. Anche se, subito dopo, informazioni relative alla matrice di gruppi neofascisti costringeranno Mingarelli a cambiare repentinamente rotta. La nuova errata pista, dolosamente battuta dal colonnello, gli vale una condanna per falso materiale e ideologico e per soppressione di prove. In seguito il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra, reo confesso per la strage di Peteano, riferirà di come il segretario del Msi Giorgio Almirante avesse fatto transitare nel conto di Carlo Cicuttini, dirigente del Msi friulano e ideatore dell’agguato, la somma di 35.000 dollari. Soldi che avrebbero dovuto finanziare un intervento alle corde vocali per evitare che la voce di Cicuttini venisse riconosciuta come quella della telefonata anonima.
Nel giugno 1986 Giorgio Almirante e l’avvocato goriziano Eno Pascoli vengono rinviati a giudizio con l’accusa di favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti. Pascoli verrà condannato per il fatto; Almirante, invece, riuscirà ad aggirare la condanna grazie dell’immunità parlamentare, fino ad avvalersi di un’amnistia che riuscirà a ripulirlo da ogni colpa.
Nel 1984, ben dodici anni dopo la strage, Vincenzo Vinciguerra deciderà di assumersi la responsabilità dell’attentato. E non perché spinto da pentimento, quanto perché intenzionato a svelare i solidi rapporti che legavano l’estrema destra agli apparati dello Stato, complici entrambi nel depistaggio delle indagini.
A confermare, ancora una volta, dopo piazza Fontana o la strage di Bologna, che la quasi totalità degli attentati ad opera di militanti dell’estrema destra è saldamente agganciata ad alcuni organismi malati e pervertiti dello Stato.
[Foto Archivio L’Unità]
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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