Il 31 gennaio del 2005 rischiammo di uccidere Ameri, Ciotti, Provenzali, Luzzi e anche Cucchi. Quel giorno un’azienda vicina alla Telecom stava per fare un’offerta per scippare alla Rai la trasmissione più longeva, più conosciuta e più amata da quando, nel 1959 (ha dunque 60 anni, la mia età) cominciò ad entrare nelle case degli italiani. Fu Nicolò Carosio ad inaugurare la prima puntata ufficiale, insieme a Enrico Ameri e Andrea Boscione. Dallo studio centrale, che si trovava a Milano, la voce di Roberto Bortoluzzi che condusse per 28 anni, sino al 1978. Con tutto il calcio e le radio a transistor siamo cresciuti. Con le ginocchia sbucciate ad ascoltare tutte le partite che cominciavano allo stesso orario, la domenica. Era la nostra messa laica e conoscevamo a memoria le parole: “Scusa Ameri, scusa Ciotti”. Le nostre squadre camminavano sui fili indefinibili delle parole e tutti, proprio tutti, immaginavano quella partita magistralmente raccontata da dei grandissimi e unici professionisti. Ognuno di noi, però, vedeva la partita con la sua immaginazione. Le parole di Ciotti, di Cucchi, di Luzzi erano solo un pretesto per inventarci la nostra partita di pallone o, come avrebbe detto magistralmente Gianni Brera, “di futbol”. Era un racconto acerbo, con un solo arbitro in campo e due guardalinee che segnalavano solo quando il pallone usciva e l’eventuale fuorigioco. Non esisteva la zona, il calcio totale, non c’erano gli “schemi” e si marcava a uomo. Ameri e Ciotti ci raccontavano delle splendide falcate di Claudio Sala sulla linea mediana, del traversone di Mazzola, del tunnel di Tardelli ai danni di qualche sconosciuto difensore. E noi, ragazzi di allora, ad immaginarci tutte quelle avventure, in attesa di rivedere le immagini a novantesimo minuto. Non ho sbagliato: in televisione quelle azioni si rivedevano in base a quelle sceneggiate dai radiocronisti. E molte volte le azioni di Ameri e di Ciotti erano nitide, chiare ed identiche alle immagini. Son cresciuto con tutto il calcio minuto per minuto e posso affermare di aver visto, in quegli anni, tutte le partite attraverso la radio. E le ho viste a colori.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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