“Sai che cosa voleva significare fino a ieri, per noi, fare gli agricoltori? Rischio di prendersi una perniciosa, rischio di morte. Ed eroismo voleva dire stare sulla stiva di quell’aratro a chiodo, che laggiù è oggetto di un tuo sorriso di commiserazione. Io e mia moglie si abitava una casa in campagna nei pressi di Oristano, ed io e mia moglie siamo stati colpiti dalla malaria. Per grazia di Dio i figliuoli si sono salvati. Zanzariere alle porte, zanzariere alle finestre: tutto inutile, la maledetta zanzara della morte penetrava dappertutto.”**
L’Ente Regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna (ERLAAS), in collaborazione con la Fondazione Rockefeller, condusse una colossale campagna contro la malaria, terminata il 31 dicembre 1950. Il dicloro-difenil-tricloroetano, più conosciuto come DDT, entrò nella nostra regione il 6 novembre 1946, portato dalle jeep e dai carri armati degli alleati americani. Non si conoscono le ragioni per le quali la divisione internazionale di sanità della fondazione Rockefeller scelse proprio la Sardegna per praticare la campagna anti-anofelica. Forse per l’enorme portata endemica raggiunta dalla malaria nell’isola o, più probabilmente, l’intento di accaparrarsi quello splendido territorio, da trasformare strategicamente in una base aerea per il controllo del Mediterraneo.
Ma allora le cause non erano importanti quanto i rimedi. La guerra contro gli uomini era finita, si era trasferita contro la zanzara Anopheles labranchiae.
Quel nemico silenzioso costringeva i contadini a recarsi clandestinamente nelle campagne per lavorare la terra fino al tramonto, ma poi, proprio quando il sole calava, aveva inizio l’assedio dell’avversario alato.
L’ambizioso Progetto anti malaria ebbe inizio con un frazionamento capillare del territorio che venne suddiviso in province, ogni provincia in settori e ogni settore in distretti. Furono reclutati, istruiti e addestrati da specialisti la bellezza di trentaduemila uomini per una battaglia combattuta su un fronte di 26.000 kmq. La zanzara Anopheles labranchiae era il vettore della malaria in Sardegna e questo rendeva pericolosa qualsiasi pozza d’acqua del territorio designandola come zona “da trattare”. E così come le pareti di ogni casa già irrorata riportavano la stampigliatura DDT, anche i corsi d’acqua trattati al dicloro-difenil-tricloroetano dovevano recare un numero identificativo. Ingente lo spiegamento di forze per portare a termine la colossale guerra chimica: uomini, lanciafiamme che incenerivano, aerei che spargevano nell’aria nubi di DDT, dinamite che apriva vie di scarico di acque altrimenti ingovernabili. Nel giro di qualche anno la silenziosa e invisibile oppressione di quelle zanzare, che avevano costretto i sardi al coprifuoco, ebbe fine.
A posteriori fu chiaro che il progetto non raggiunse il suo obiettivo.
La Sardegna era libera dalla malaria ma non si era liberata dall’Anofele, che, oltretutto, non era l’unica specie di zanzara presente nell’isola. Inoltre si era usato un composto chimico senza conoscerne le conseguenze a lungo termine né sul territorio né sugli esseri umani. Qualcuno pensò che quel Progetto fosse un successo, qualcun altro lo presentò come un insuccesso sostenendo che la malaria avrebbe avuto termine anche senza l’ingombrante azione degli Americani. Ma fu lo stesso presidente della Rockefeller Foundation a definirlo un “successo negativo”.
Noi profani non siamo in grado di scegliere un’etichetta certa da appiccicare a quell’operazione e nemmeno sapremo mai se dietro l’azione degli americani ci fu più filantropia, sperimentalismo o speculazione. Eppure ancora una volta ci mostra come la Sardegna sia stata un obiettivo, anche da parte degli amici alleati. Sì amici, proprio come il lupo nella favola dei sette capretti.
** “Le vie d’Italia”. – Rivista storica (pubblicata dal 1917 al 1967 – resoconto del sopralluogo ad Oristano di Aldo Spallicci, Alto Commissario per l’Igiene e la Sanità).
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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