Il 31 gennaio 1876, giusto 140 anni fa, il Governo degli Stati Uniti ordinò ai nativi Americani superstiti di concentrarsi all’interno di riserve. Dopo solo 46 anni Mussolini prendeva il potere seguito, dopo altri 11, da Hitler. Lo ricordo solo perché lo schema buoni-cattivi è una delle cose più scivolose che esistano.
Successe che dopo il 1492 una civiltà in espansione, la nostra, irruppe nello spazio di altre civiltà, distruggendole. Il fenomeno, somigliante a un genocidio, avvenne per violenze dirette (guerre, sterminii), per sconvolgimenti economici (occupazione di terre, compromissione delle fonti di approvvigionamento e delle reti di relazioni preesistenti), per l’introduzione di malattie sconosciute. Possiamo vedere la cosa come un processo storico-ecologico su larga scala, un normale incontro-scontro di popolazioni della stessa specie. Gli uomini lo fanno da quando esistono. Lo hanno fatto i Sapiens ai Neanderthal, lo hanno fatto i Romani agli Etruschi e agli altri popoli italici, lo hanno fatto i Barbari ai Romani.
Successe poi che verso la fine di quella caduta, il 31 gennaio 1876 appunto, i vincitori chiusero gli sconfitti dentro le riserve.
Questa scomparsa di popoli schiacciati da altri popoli, mi resta da sempre irrisolta tra i pensieri. Non va né su né giù. Come se, a differenza di altre catastrofi, fosse ancora non del tutto consumata. Come se certe musiche, certi sogni, una certa visione della vita, fossero ancora vive da qualche parte, ma fuori dalle riserve, per quanto ridotti a fiammella.
Ma c’è altro che mi turba, quando penso ai nativi americani e alle loro storie.
Nel 2008 conobbi Lance Henson, un poeta Cheyenne che gira il mondo con le sue opere: sono scritte in inglese ma danno voce al mondo che c’era prima. Era in tournée in Sardegna e una delle sue tappe era La Maddalena. In quell’incontro ci parlò della sua gente e lesse qualche verso dei suoi. Ci disse che si sentiva particolarmente grato alla Sardegna e che esisteva un legame forte tra la sua terra e la nostra. Cose su cui non puoi stare troppo a razionalizzare; le prendi così come sono. Ma lui provò a spiegarsi meglio. Ci disse che vent’anni prima era stato in Sardegna. Durante un viaggio per salire in Gallura, passando ai piedi di certe montagne bianche (era il Montalbo) vide volteggiare nel cielo “two hawks”, due falchi. Lo prese come un segno, ci disse, un segno di quel legame profondo tra mondi lontani. Poi ci raccontò che quella mattina stessa, qualche ora prima di arrivare a La Maddalena, vent’anni dopo quel primo viaggio in Sardegna, scorrendo sotto il Montalbo aveva alzato la testa al cielo, e aveva visto “two hawks”, due falchi, volteggiare alti nel cielo.
Ora, ogni volta che passo sotto il Montalbo, alzo la testa e guardo il cielo. E penso: “Si son presi i nostri cuori, sotto una coperta scura…”.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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