Uno dei primi ricordi della mia vita è una discussione molto vivace tra mio padre e mia madre, nel tugurio camuffato da appartamento dove ho trascorso la mia infanzia. Non parlavano di economia domestica, lei non rimproverava a lui di spremere il tubetto del dentifricio dal mezzo, lui non le contestava i maccheroni scotti. No, si confrontavano su un incontro di pugilato finito sotto i riflettori del mondo intero, esattamente quarantuno anni fa. Era il 30 ottobre del 1974 quando Cassius Clay, diventato Muhammad Alì dopo avere abbracciato l’Islam, affrontò in un singolare match valido per la cintura mondiale dei pesi massimi l’armadio quattro stagioni texano conosciuto col nome di George Foreman, detentore del titolo. Più grosso, più alto, più potente e sette anni più giovane di Alì, che però aveva dalla sua classe, talento e intelligenza come pochi se ne sono visti su un ring in tutta la storia della boxe. Io ho fatto a malapena a tempo ad assistere agli ultimi incontri del campionissimo, ma credo di aver visto ogni intervista e documentario possibile su di lui: sappiano, i più giovani, che è stato uno degli sportivi più amati e ammirati, non solo per il suo valore sportivo ma per la personalità e il carisma contenuti in ogni suo gesto e parola. Per spiegarvi il tipo: per tre anni, dal 1967, Alì fu costretto ad abbandonare l’attività in polemica con il governo americano, in aperto dissenso con l’impegno militare in Vietnam.
Incontro singolare, dicevo, quello del 30 ottobre del 1974 Perché quel diavolo dal ciuffo albino di Don King, al suo esordio da organizzatore, riuscì a far breccia nel cuore del dittatore dello Zaire Mobutu, convincendolo ad ospitare l’incontro a Kinshasa e ad allestire tutta una serie di eventi di contorno di grande richiamo. Il combattimento, previsto inizialmente a settembre, venne rinviato di alcune settimane per un infortunio occorso in allenamento a Foreman, che godeva tuttavia dei favori del pronostico: sul suo ruolino di marcia, fino a quel momento, figuravano 40 vittorie su 40 incontri, 37 delle quali prima del limite. E poi Alì veniva dato per finito, a causa della lunga inattività e della sconfitta subita nel 1971 da Joe Frazier, suo acerrimo rivale. Il primo gong tintinnò quando a Kinshasa erano le 4 del mattino, orario stabilito per poter trasmettere il mondiale negli Stati Uniti in prima serata. Lo sfidante era intelligente anche nella consapevolezza dei propri limiti e nella capacità di saper cogliere quelli dell’avversario: i due si erano allenati a Kinshasa per tutta l’estate, cosicché Alì aveva studiato una strategia raffinatissima per potersi aggiudicare la cintura. Sapeva di non poter accettare il corpo a corpo con un rullo compressore dal pugno di ghisa, ma sapeva anche che con la sua agilità avrebbe potuto stancare il contendente neutralizzandone la forza bruta. L’afa di quelle latitudini avrebbe fatto il resto. Alì, per quanto peso massimo da un quintale e 191 centimetri di altezza, era considerato “veloce come una farfalla e pungente come un’ape”: aveva le doti per poter riuscire nell’impresa. Andatevi a vedere l’incontro su Youtube. Foreman scaglia sganassoni da farsela sotto, ma spesso a vuoto, Alì risponde con destri mirati ma senza strafare, amministra le energie, si dondola sulle corde, lega e nei corpo a corpo parla all’avversario, sfottendolo per farlo imbestialire. E così, ripresa dopo ripresa, i colpi di Foreman diventano sempre più lenti e prevedibili. Il carrarmato texano vacilla alla quinta ripresa, poi sembra riaversi, ma all’ottavo round una combinazione di Alì spegne la luce al campione e lo manda definitivamente al tappeto, decretando una vittoria sportiva tra le più celebrate di sempre. Foreman, vent’anni dopo, sarebbe diventato nuovamente campione dei massimi, battendo Michael Moorer: aveva 46 anni e ciò ha fatto di lui il campione più anziano della storia. Ma. come dice Rino Tommasi, “la potenza è l’ultima qualità ad abbandonare un pugile”. Nulla a che vedere, però, con quelle notte di Kinshasa, illuminata dal genio pugilistico di Cassius Clay. Io mi ricordo, come in un sogno, mia mamma che parla ammirata di questo eroe sportivo e babbo che annuisce, d’accordo con lei. Avevano ragione.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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