L’arte è una strana bestia. In questo settore degli affari umani capita anche che uno riesca a fare un capolavoro dell’episodio più schifoso della sua vita. Il regista Elia Kazan, a esempio. Il 30 marzo del 1955 On the Waterfront, Fronte del porto, vince otto Oscar, tra i quali quello a Kazan per la regia e quello a Marlon Brando per il migliore attore protagonista. Brando, lui, divenne leggenda del Novecento dal momento, fissato in bianco e nero, in cui con aria strafottente, giaccone a quadri e chewing gum, rivolse l’indice verso se stesso e disse: “Certe facce è difficile dimenticarle”. E’ la storia di uno scaricatore di porto che per difendere i lavoratori si ribella alla mafia e denuncia i gangster. Ma a fare il film fu uno che la spia la fece contro innocenti, in maniera sporca e decretando la loro rovina. Kazan, prima di Fronte del porto, era stato uno dei più luridi delatori del maccartismo. Era il 1952. In piena caccia alle streghe del senatore anticomunista Joseph Mc Carthy, Elia Kazan si presentò davanti alla Commissione per le attività antiamericane, una specie di Tribunale dell’Inquisizione, e accusò undici suoi colleghi, tra i quali l’attrice Kim Hunter, che pochi mesi prima aveva diretto in Un tram chiamato desiderio. Forse lo fece per farsi perdonare un passato da simpatizzante comunista. Comunque una vigliaccata delle peggiori che gli valse anche una sotterranea ostilità in un mondo del cinema pure intimorito dalla dissennata strage di ingegni e libertà espressive scatenata da Mc Carthy. Per molti di quegli undici la carriera si interruppe il giorno stesso dell’udienza di Kazan alla commissione e il regista capì che di disprezzo si può morire quanto di calunnie. Nei teatri di posa divenne il delatore per antonomasia. Due anni dopo, quando l’America già cominciava a stufarsi dei vaneggiamenti su spie sovietiche dietro ogni angolo, Kazan cominciò a definire meglio il progetto di Fronte del Porto. Lo scrittore Arthur Miller fu contattato dalla produzione ma rese pubblica la propria disistima verso il regista rifiutandosi di collaborare alla sceneggiatura. Forse fu proprio allora che Kazan, toccato il fondo dell’infamia, fece della storia di Terry Malloy quella del proprio disperato tentativo di redenzione. Terry è uno scaricatore di porto complice di un sindacato mafioso che sfrutta i suoi compagni. Ma si ribella e torna a essere libero sfidando gli oscuri meandri del potere che attraverso i sindacati criminali opprime la classe operaia. Secondo alcuni Terry che alla fine del film denuncia i mafiosi è una trasposizione positiva di Kazan che denuncia i comunisti. Ma è più credibile, come sostengono molti critici, che il regista abbia voluto identificare nei gangster affrontati dall’operaio non i comunisti o presunti tali che lui aveva denunciato ma il sistema di potere oppressivo al quale li aveva denunciati. Un’autocritica, dunque, non una autogiustificazione. Non so quanto esistenzialmente l’operazione sia credibile. Ma sul piano artistico, tra la regia dal cupo bianco e nero di Kazan e la superlativa interpretazione di Marlon Brando, fu un successo fuori dall’ordinario. Fronte del porto è tuttora uno dei più grandi film nella storia del cinema. Fu un binomio fortunato. I diavoli distruttori che giravano nel cervello di Kazan erano simili a quelli di Brando, che sapeva tra l’altro come creare un’identità combaciante tra attore, autore e personaggio. Poco più di un mese di riprese in un molo di New York tra comparse scelte tra veri scaricatori di porto. Il neorealismo italiano in ketchup made in Usa e con una spruzzata di metodo Stanislavskij sulla recitazione di Brando. Un film tecnicamente perfetto. Dalle scene di massa a gioielli quale il dialogo tra Terry e suo fratello Charley (Rod Steiger), girato all’interno di un taxi ricostruito in studio. Non c’è chi non ricordi il dolce e malinconico sorriso di Terry quando suo fratello gli punta una pistola in faccia e lui sposta la canna dell’arma con un movimento lento, delicato, incurante. E poi, alla fine di quei tre o quattro minuti che sono il cuore del film, Charley va via sapendo che tra poco morirà perché non è riuscito a convincere Terry a non tradire i gangster. Per Kazan fu il culmine. Dopo non fece altro di neppure paragonabile a questo capolavoro. Ma fu così che una spia al servizio del peggiore potere razzista e oscurantista fece scoprire al mondo il lato oscuro del sogno americano, lo sfruttamento e l’oppressione nascosti proprio nel cuore della Grande Mela, simbolo di libertà ma anche asilo di corruzione, malavita organizzata, miseria, degrado e violenza ai danni dei più poveri. Sarà forse per questo che se oggi riguardate Fronte del Porto avrete l’impressione di vedere scorrere sullo schermo problemi piuttosto attuali.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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